Charlotte Salomon, testimone di vita (2013-2023)

“Vita o teatro?”: la creatività del copione nell’opera di Charlotte Salomon

Rosangela Pesenti*

Riassunto

Charlotte Salomon, attraverso la sua opera, ci ha offerto un’originale esperienza di narrazione del copione ritrovando, nella propria storia, le conclusioni di sopravvivenza che sono diventate una forma di resistenza alle ingiunzioni di morte, consentendole di affermare l’amore per la vita anche contro la tragicità di un destino imposto dagli eventi storici.

Abstract

Through her story, Charlotte Salomon has offered us an original narration experience of the script. She has found in her own life story the necessary conclusions in order to survive, which have become a form of resistance to death enjoinments, allowing her to affirm her love for life against the tragical destiny imposed by history.

Scrive Fanita English:

            Precocemente, in generale fra i tre e i sette anni, gli individui elaborano un copione (script) che in qualche modo diventerà la mappa della loro vita, regolando lo strutturarsi del tempo, il tipo di rapporti che allacceranno, i sentimenti nei propri confronti e verso l’ambiente. Il copione è         infatti come un calco, una guida che determina il corso dell’esistenza, le crisi e le decisioni        future (English, 1998).

Parto da questa citazione, nota in ambito analitico transazionale, perché la correzione di Fanita alla straordinaria intuizione di Berne fa del copione uno strumento concettuale di grande utilità, e non solo in ambito terapeutico, perché la narrazione di sé è parte dell’incessante attività della vita e la consapevolezza delle tracce profonde che la guidano diventa apertura alla visione di nuove opzioni per il futuro.

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Pensieri sparsi del 31 dicembre 2022

Seguo anch’io una moda, quella dei bilanci di fine anno. Pensieri brevi senza argomentazione, così come mi girano in testa, come il criceto ossessivo gira la ruota (ma lui con una sua misteriosa e chiara ragione che non è la mia).

Sono tornate parole dell’antico regime: umiliante e beneficenza.
UMILIANTE è aggettivo del lavoro.
Occuparsi della pulizia intima di anziani e anziane, malate e malati, è un lavoro umiliante.
Svolgere lavori di pulizia di luoghi pubblici è un lavoro umiliante.
Raccogliere spazzatura e pulire strade è un lavoro umiliante.
Vendere la propria immagine per pornografia non è un lavoro umiliante.
Girare video erotici e venderli sui social non è un lavoro umiliante.
Girare video buffi di azioni quotidiane e raccogliere denaro sui social non è un lavoro umiliante.
C’è differenza tra libertà di esistere e libertà di vendere? Quando e come la libertà di vendere intacca, mortifica, riduce la libertà di esistere?

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Quanto è fragile IL presidente?

Dopo aver orgogliosamente dichiarato “Sono una donna, sono una madre” e poi “sono una cristiana”, forse anche per iscrivere la sua esistenza politica in una storia più lunga della cultura d’appartenenza, ora piega simbolicamente il capo al revanchismo patriarcale del terzo millennio dichiarando di essere IL presidente.
La sua collocazione simbolica svaluta la sua stessa vittoria e si immette quasi in sordina nella storia della sconfitta delle donne fasciste che in Italia si consumò all’interno dello stesso partito dopo la marcia su Roma, con la cancellazione delle personalità più carismatiche, relegando le altre al ruolo che troverà poi nel nome “ausiliarie” il suggello della posizione.
Come se Elisabetta prima e seconda o Vittoria avessero rifiutato il titolo di regina e Caterina o Maria Teresa quello di imperatrice.
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Una bella notizia

C’è una bella notizia: la terra può difendersi dagli asteroidi.
Questo consente di ipotizzare una piccola guerra nucleare: un paio di territori strategici distrutti, qualche milione di morti che possono alleggerire il peso dell’impronta umana sul pianeta con i suoi sette miliardi di individui e la riproduzione del sistema gerarchico di sfruttamento/asservimento è garantita.
Le grandi questioni dei diritti umani, quelli che oggi, con un termine volutamente ambiguo, vengono definiti di ‘inclusione’, possono essere ridisegnati nel sistema stesso, basta che un po’ di donne arrivino alle leve di comando insieme a un po’ di neri e gialli, una quota di trans benestanti, qualche disabile ed è fatta.
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Nessuna metafora è per sempre

Rispondendo all’invito per  l’incontro a Roma dal titolo: “Il cielo si sta annuvolando”
 
Il cielo non si sta rannuvolando, anzi, per tutta l’estate abbiamo sperato nelle nuvole che potessero dare sollievo alla terra riarsa, alle fioriture precocemente bruciate, al razionamento d’acqua imposto già da maggio nella pianura padana, terra di fiumi e di sorgive, mentre a nord si scioglie il permafrost mutando per
sempre il paesaggio alpino.
 
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Le parole e i diritti: note a margine

Silenzio
Nei contesti comunicativi la parola è d’obbligo, non si esprimono le proprie argomentazioni con il silenzio.
Sono stata in silenzio dodici secondi prima di cominciare a parlare e dopo i primi sei ho ricevuto un sollecito, con il tono di affettuoso incoraggiamento.
Di fronte a me ho colto sui volti qualche espressione di stupore, chi mi ha invitata a questo convegno forse avrà avuto un attimo di imbarazzo.
Questo significa che noi siamo sempre immerse e immersi in un universo comunicativo in cui decodifichiamo velocemente messaggi attraverso il filtro della nostra storia, sociale famigliare linguistica.
Si dice che la comunicazione passi per il 75% dal non verbale, quindi molti messaggi entrano nel mio sistema recettivo prima che io ne prenda coscienza.
Il linguaggio non si genera nel vuoto ma dentro un’organizzazione del tempo, le strutture fisiche del luogo e una grammatica dei corpi, costituita da posture atteggiamenti espressioni abbigliamento, che eccede continuamente la grammatica della lingua definendola e ridefinendola a seconda dello spazio comunicativo che i corpi pensanti predispongono e vivono.
La prossemica e lo spazio architettonico in cui siamo prevedono che chi sta in cattedra esprima un discorso verbale e che questo discorso abbia determinate caratteristiche, che fluisca in forma argomentativa e documentata. Qualche citazione poetica potrebbe essere accolta solo a chiosa del discorso, un intero poema sarebbe un intervento straniante.
Il silenzio è imprevisto: turba, disturba, sorprende, imbarazza.
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Visionarie concrete. Le donne che hanno fatto l’Italia repubblica fondata sul lavoro

Fare memoria in forma collettiva in un tempo e in un luogo significa generare ricordi.

Siamo qui per generare ricordi convergenti e condivisi: ricordare una donna, Italia Riccelli, non significa fare della sua storia un frammento della nostra memoria come se fosse la tessera di un mosaico.

La memoria determina i nostri orientamenti, è una bussola che ci guida, talvolta ricordare una persona, un dettaglio, significa modificare la visione d’insieme.

I ricordi di oggi saranno condivisi solo se le parole che esprimiamo e ascoltiamo saranno generatrici di nuove consapevolezze, se apriranno dentro di noi nuovi spazi di pensiero, se illuminando il passato genereranno visioni portatrici di azioni nel presente.

Ricordare una donna significa illuminare un pezzo di storia delle donne e il modo con il quale questa storia interroga le narrazioni tradizionali che hanno relegato le donne a sfondo invisibile nella grande storia a guida maschile. Significa anche districarsi dagli stereotipi e capire come questa donna si è districata dagli stereotipi del suo tempo, quanto è stata fautrice della costruzione di esistenza libera anche attraverso la propria professione.

In questo senso fare memoria diventa una scelta di direzione nell’orientamento del vivere.

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Visioni del femminile: una postura politica Forlì 19 maggio 2022

Forlì, 19 maggio 2022

Non mi sono mai definita filosofa e certo ancora oggi definirsi tale è un azzardo, comunque governato dalle istituzioni accademiche, alle quali non appartengo.

Questo termine è stato messo accanto al mio nome per un disguido nella comunicazione, di cui non ho responsabilità.

La definizione di filosofa non è un falso, come testimonia il mio curriculum, pubblicato sul mio blog, ma io mi ci sento a disagio e già questo disagio è un sintomo, e quindi un indizio, del mio rapporto con la filosofia.

Gli indizi, come sappiamo, sono fondamentali per la storia, sono gli indizi a guidarci nei territori omessi o censurati dalle mappe. Quindi posso spogliarmi del disagio e agire la nudità simbolica, che è anche condizione di libertà, solo esponendo il problema, che per me è anche parte dell’insofferenza per le definizioni, soprattutto quando enfatizzano una posizione sociale in una società che non ha mai smesso di riprodurre gerarchie di valore, con pesanti ricadute sulle condizioni materiali.

Parafrasando Judith Butler, che si chiede “A chi spetta una buona vita?”[1], possiamo chiederci a chi spetti parlare di filosofia in un paese che considera ancora la disciplina come oggetto di studio riservato alle scuole eredi del classismo (e sessismo, e razzismo), escludendo che possa interessare chi frequenta istituti tecnici e professionali: un assurdo, anche tenendo conto dei criteri scolastici, come se potessimo sapere chi ha il “talento filosofico” a quattordici anni.

La definizione che preferisco per me stessa è ‘insegnante’, un lavoro che ho svolto onestamente e nel quale ho espresso il meglio dei miei talenti; professione svalutata, mortificata e asservita che resta però lo snodo per definire la qualità umana e il futuro di un paese democratico.

Pensando a qualcosa da raccontare oggi, immediatamente i pensieri si sono aggregati intorno a tre parole chiave: POSIZIONAMENTO POSTURA PAROLA. Leggi tutto “Visioni del femminile: una postura politica Forlì 19 maggio 2022”

2002-2022 Donne, pace, democrazia

Difficile parlare di pace dentro l’urgenza del fare che ognuna di noi sente come impellente necessità di fermare guerre e massacri, unita al sentimento di impotenza per i pochi gesti che abbiamo davvero a disposizione e che ci riconducono di colpo ad una realtà di mancanza di potere sul terreno delle decisioni politiche che avevamo in questi anni accantonato.
Parlo al plurale perché sento ancora il sentimento di condivisione di una soggettività politica collettiva che è stata la scoperta, l’avventura e la costruzione della mia giovinezza, ma che oggi avverto quasi solo come una memoria incisa sulla mia pelle che non posso cancellare, ma che non so più di poter agire.
Non mi sottraggo alle parole brevi e incisive degli slogan e degli appelli, ma sento la responsabilità di restituire alle parole tempi e luoghi adeguati perché avverto che proprio nell’illusione di dover abbreviare i discorsi per raggiungere più in fretta le nostre mete è nascosta una trappola che invalida poi ogni nostra azione.
Parlo di tempi e luoghi perché sono le dimensioni imprescindibili del vivere umano e la loro qualità, definizione, costruzione concreta, consente e condiziona ogni relazione sociale.
Nel loro modo di abitare il tempo e lo spazio gli esseri umani introducono la memoria come capacità di accumulare le esperienze, riducendo il passato a sintesi utili per il futuro.
Proprio la disciplina storica, soprattutto nella sua versione “divulgativa” e scolastica ci insegna che pace e guerra sono temi fondamentali sui quali sperimentiamo la nostra capacità di “fare sintesi” e non possiamo non chiederci quanto utili per il futuro.
Perché questa premessa per parlare di ‘pace, donne, democrazia’ e che cosa lega davvero questi tre termini?
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Pace: partire da sé per camminare in tutto il mondo

ALLE DONNE CHE VIVONO NEL TERRITORIO DI BERGAMO

Alle donne delle istituzioni e delle associazioni, alle donne di partito e senza partito, di fede e senza fedi, alle donne che hanno il cuore multicolore e i piedi per terra, alle donne che hanno pensieri e storie diverse.
Alle donne tutte che si riconoscono nelle parole di pace e sanno praticare la pace.

Il territorio di Bergamo è diventato drammaticamente famoso nei due anni di pandemia e noi donne sappiamo come abbiamo fatto fronte all’emergenza perché di colpo tutti i lavori della CURA sono diventati centrali, indispensabili come sempre ma di colpo visibili per la sopravvivenza.
Bergamo è la provincia del volontariato, che sappiamo a maggioranza femminile e le pratiche di accoglienza dei profughi sono già al lavoro.
Dalle donne di Bergamo può partire una voce credibile per tutte, potente come la forza delle nostre vite.
Non escludiamo gli uomini ma non possiamo affidarci a loro: il disastro delle loro politiche è palese.
Non abbiamo fedeltà da difendere, di nessun tipo, solo proposte da fare, una pace da affermare.

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