Piagate le bandiere
sommessi i canti
disperse le intenzioni
tra confuse visioni
mute le mani laboriose
e il pensiero chino
eppure batte il tamburo del cuore
richiama ancora mani menti genti
ad essere vicine
25 aprile 2023
Il mio 25 aprile quest’anno è cominciato giovedì 20 a Milano, alla biblioteca Valvassori Peroni, dove donne e uomini, nonostante una pioggia torrenziale, sono venuti ad ascoltare la storia di Lidia Menapace ricordata da me e dalla nipote, Marta Brisca, con le lettrici di EquiVoci, attraverso il libro della Fondazione Serughetti La Porta, intitolato con le sue parole: Non manchiamo il nostro tempo”.
Ed essere presenti al nostro tempo è certamente il sentimento che ha portato molte donne e uomini ieri sera, venerdì 21, all’iniziativa organizzata dall’ANPI di Mapello, dove ho raccontato la Resistenza delle donne (che sostiene sollecita e per molti versi genera anche quella degli uomini) a un pubblico generoso di domande intelligenti, profonde, attuali.
Alle donne e uomini incontrati e che incontrerò, perché il mio 25 aprile si concluderà a Badia Polesine venerdì 28 con le amiche e gli amici del Centro di Documentazione Polesano, che frequento da almeno quindici anni, dedico queste parole del 2020.
Scritte nella segregazione dovuta al Covid, quando abbiamo cantato e fatto risuonare le note di Bella ciao dai balconi e dai cortili senza poterci incontrare, possono risuonare oggi per ricordarci che i grandi cambiamenti crescono a lungo come semi nel buio della terra e nel quotidiano silenzioso delle case, per sbocciare in una primavera imprevista con l’energia di generazioni nuove, che non sono solo appartenenza anagrafiche ad un’età giovane ma, soprattutto, l’insopprimibile desiderio di rigenerazione della libertà che continua a muovere ogni vita misteriosamente nella solida solidarietà degli incontri e delle condivisioni.
4 marzo 2023 Condannati al naufragio
Non suoneranno campane a morto
di villaggio conosciuto
non ci sarà abitino bianco e merletto
come usava un tempo
e pianto di madri e di parenti
non conosciamo il suo nome
e lei piccina
– guance morbide, boccuccia ancora senza denti –
non l’ha mai pronunciato
pochi mesi non contano
all’anagrafe di tanti morti
assassinati
lì dove nessuno sconta reato
Spero che sia scivolata dal sonno
al non respiro
piano
che per lei il mare sia stato grembo
di memoria come mamma vicina
e questa speranza è orrore
di coscienza viscida
incolore
Porto nei troppi anni troppe morti
di guerra armata
e guerra in pace contro ogni terra
qui
nel benessere che non è bene-volenza
quando perfino il bene-dire
sembra ipocrita violenza
Per le bambine e i bambini a cui abbiamo vietato di crescere
Charlotte Salomon, testimone di vita (2013-2023)
“Vita o teatro?”: la creatività del copione nell’opera di Charlotte Salomon
Rosangela Pesenti*
Riassunto
Charlotte Salomon, attraverso la sua opera, ci ha offerto un’originale esperienza di narrazione del copione ritrovando, nella propria storia, le conclusioni di sopravvivenza che sono diventate una forma di resistenza alle ingiunzioni di morte, consentendole di affermare l’amore per la vita anche contro la tragicità di un destino imposto dagli eventi storici.
Abstract
Through her story, Charlotte Salomon has offered us an original narration experience of the script. She has found in her own life story the necessary conclusions in order to survive, which have become a form of resistance to death enjoinments, allowing her to affirm her love for life against the tragical destiny imposed by history.
Scrive Fanita English:
Precocemente, in generale fra i tre e i sette anni, gli individui elaborano un copione (script) che in qualche modo diventerà la mappa della loro vita, regolando lo strutturarsi del tempo, il tipo di rapporti che allacceranno, i sentimenti nei propri confronti e verso l’ambiente. Il copione è infatti come un calco, una guida che determina il corso dell’esistenza, le crisi e le decisioni future (English, 1998).
Parto da questa citazione, nota in ambito analitico transazionale, perché la correzione di Fanita alla straordinaria intuizione di Berne fa del copione uno strumento concettuale di grande utilità, e non solo in ambito terapeutico, perché la narrazione di sé è parte dell’incessante attività della vita e la consapevolezza delle tracce profonde che la guidano diventa apertura alla visione di nuove opzioni per il futuro.
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Pensieri sparsi del 31 dicembre 2022
Seguo anch’io una moda, quella dei bilanci di fine anno. Pensieri brevi senza argomentazione, così come mi girano in testa, come il criceto ossessivo gira la ruota (ma lui con una sua misteriosa e chiara ragione che non è la mia).
Sono tornate parole dell’antico regime: umiliante e beneficenza.
UMILIANTE è aggettivo del lavoro.
Occuparsi della pulizia intima di anziani e anziane, malate e malati, è un lavoro umiliante.
Svolgere lavori di pulizia di luoghi pubblici è un lavoro umiliante.
Raccogliere spazzatura e pulire strade è un lavoro umiliante.
Vendere la propria immagine per pornografia non è un lavoro umiliante.
Girare video erotici e venderli sui social non è un lavoro umiliante.
Girare video buffi di azioni quotidiane e raccogliere denaro sui social non è un lavoro umiliante.
C’è differenza tra libertà di esistere e libertà di vendere? Quando e come la libertà di vendere intacca, mortifica, riduce la libertà di esistere?
Quanto è fragile IL presidente?
Dopo aver orgogliosamente dichiarato “Sono una donna, sono una madre” e poi “sono una cristiana”, forse anche per iscrivere la sua esistenza politica in una storia più lunga della cultura d’appartenenza, ora piega simbolicamente il capo al revanchismo patriarcale del terzo millennio dichiarando di essere IL presidente.
La sua collocazione simbolica svaluta la sua stessa vittoria e si immette quasi in sordina nella storia della sconfitta delle donne fasciste che in Italia si consumò all’interno dello stesso partito dopo la marcia su Roma, con la cancellazione delle personalità più carismatiche, relegando le altre al ruolo che troverà poi nel nome “ausiliarie” il suggello della posizione.
Come se Elisabetta prima e seconda o Vittoria avessero rifiutato il titolo di regina e Caterina o Maria Teresa quello di imperatrice.
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Una bella notizia
C’è una bella notizia: la terra può difendersi dagli asteroidi.
Questo consente di ipotizzare una piccola guerra nucleare: un paio di territori strategici distrutti, qualche milione di morti che possono alleggerire il peso dell’impronta umana sul pianeta con i suoi sette miliardi di individui e la riproduzione del sistema gerarchico di sfruttamento/asservimento è garantita.
Le grandi questioni dei diritti umani, quelli che oggi, con un termine volutamente ambiguo, vengono definiti di ‘inclusione’, possono essere ridisegnati nel sistema stesso, basta che un po’ di donne arrivino alle leve di comando insieme a un po’ di neri e gialli, una quota di trans benestanti, qualche disabile ed è fatta.
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Nessuna metafora è per sempre
Rispondendo all’invito per l’incontro a Roma dal titolo: “Il cielo si sta annuvolando”
Il cielo non si sta rannuvolando, anzi, per tutta l’estate abbiamo sperato nelle nuvole che potessero dare sollievo alla terra riarsa, alle fioriture precocemente bruciate, al razionamento d’acqua imposto già da maggio nella pianura padana, terra di fiumi e di sorgive, mentre a nord si scioglie il permafrost mutando per
sempre il paesaggio alpino.
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DECALOGO ECOFEMMINISTA PER UN BUON GOVERNO
Ci rivolgiamo alle donne e agli uomini che disertano il patriarcato e che, in tutte le formazioni che si presenteranno, vorranno il voto di tante donne (e anche uomini) che da tempo si astengono perché non rappresentate.
Siamo interessate a ricevere le vostre considerazioni e continueremo il confronto durante la campagna elettorale.
Abbiamo vissuto due anni di pandemia e pensiamo che qualsiasi emergenza possa essere gestita attraverso responsabilità condivise tra istituzioni e cittadinanza, con le pratiche dell’informazione e della partecipazione senza ricorrere a forme autoritarie che non hanno alcuna utilità nella gestione dei bisogni concreti e inducono invece paura e diffidenza.
Le parole e i diritti: note a margine
Silenzio
Nei contesti comunicativi la parola è d’obbligo, non si esprimono le proprie argomentazioni con il silenzio.
Sono stata in silenzio dodici secondi prima di cominciare a parlare e dopo i primi sei ho ricevuto un sollecito, con il tono di affettuoso incoraggiamento.
Di fronte a me ho colto sui volti qualche espressione di stupore, chi mi ha invitata a questo convegno forse avrà avuto un attimo di imbarazzo.
Questo significa che noi siamo sempre immerse e immersi in un universo comunicativo in cui decodifichiamo velocemente messaggi attraverso il filtro della nostra storia, sociale famigliare linguistica.
Si dice che la comunicazione passi per il 75% dal non verbale, quindi molti messaggi entrano nel mio sistema recettivo prima che io ne prenda coscienza.
Il linguaggio non si genera nel vuoto ma dentro un’organizzazione del tempo, le strutture fisiche del luogo e una grammatica dei corpi, costituita da posture atteggiamenti espressioni abbigliamento, che eccede continuamente la grammatica della lingua definendola e ridefinendola a seconda dello spazio comunicativo che i corpi pensanti predispongono e vivono.
La prossemica e lo spazio architettonico in cui siamo prevedono che chi sta in cattedra esprima un discorso verbale e che questo discorso abbia determinate caratteristiche, che fluisca in forma argomentativa e documentata. Qualche citazione poetica potrebbe essere accolta solo a chiosa del discorso, un intero poema sarebbe un intervento straniante.
Il silenzio è imprevisto: turba, disturba, sorprende, imbarazza.
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