Una bella notizia

C’è una bella notizia: la terra può difendersi dagli asteroidi.
Questo consente di ipotizzare una piccola guerra nucleare: un paio di territori strategici distrutti, qualche milione di morti che possono alleggerire il peso dell’impronta umana sul pianeta con i suoi sette miliardi di individui e la riproduzione del sistema gerarchico di sfruttamento/asservimento è garantita.
Le grandi questioni dei diritti umani, quelli che oggi, con un termine volutamente ambiguo, vengono definiti di ‘inclusione’, possono essere ridisegnati nel sistema stesso, basta che un po’ di donne arrivino alle leve di comando insieme a un po’ di neri e gialli, una quota di trans benestanti, qualche disabile ed è fatta.
Inclusione nel sistema, in nome di specificità biologiche, condizioni fisiche, differenze ereditarie è pienamente compatibile, già visibile per quote minoritarie e persino sostenibile per quote proporzionalmente eque, compresa la metà delle donne.
Nel grande blob dell’informazione le nostre giornate convivono con annunci di spaventose tragedie e premiazioni di eccellenze, migranti su precari barconi col solo bagaglio dei pensieri e viaggi di lusso, se si parla di scuola si guarda ai licei, ci si preoccupa della fuga dei cervelli e sono invisibili gli spostamenti delle braccia con il ritorno di una lettura ottocentesca del funzionamento umano.
Giovani ricercatori e ricercatrici ci raccontano con straordinario dettaglio e approfondite conoscenze tutte le contraddizioni del nostro vivere, sono invisibili i soggetti della contraddizione, i social sembrano dare parola a chiunque e ci riconducono di fatto alla condizione infantile, letteralmente ‘senza parola’.
Il nazionalismo rinasce con la solita base eugenetica della garanzia riproduttiva che molte donne rivendicano con pieno protagonismo nell’adesione acritica alla competizione sociale per la vittoria della propria linea famigliare.
Tradotto nei termini familistici l’abbiamo visto proprio nella scuola che non è mai diventata espressione delle istanze democratiche di libertà ed eguaglianza sostanziale.
Per i propri figli e nipoti si è disposte a piegare ogni ideale di giustizia, a rivendicare ogni merito, a ignorare ogni condizione, a legittimare ogni competizione, come ogni scorciatoia e garanzia.
L’investimento è ormai paritario, le figlie sono pienamente incluse e sono spesso la migliore garanzia di adesione al sistema proprio per come il sistema si è storicamente costruito.
L’emancipazione imitativa è vincente per ora e le donne sanno fare anche meglio perché vengono da una storia meno compromessa col potere e sanno muoversi con maggiore disinvoltura tra linguaggi diversi.
Conosco le donne che hanno votato Meloni senza guardare ai programmi, solo per mera adesione ad una fisiognomica che è tutt’uno con la semplificazione degli slogan: abitano come me questo territorio, in cui convivono ville con giardino debitamente recintato, capannoni abbandonati, discariche a cielo aperto,
L’esibizione della ricchezza non è più percepita come volgarità, fa parte della cultura del volgo che si considera popolo senza chiedersi il significato delle parole, senza interrogarsi sulla responsabilità che comporta la demo-crazia di cui non abbiamo più esperienza diretta da almeno trent’anni perché l’esperienza si fa nei luoghi di lavoro e sappiamo come sono diventati.
Le donne sono più della metà della popolazione: escluse dai commenti elettorali come se la diversa storia politica da cui veniamo, donne e uomini, fosse irrilevante, sono l’imprevisto che può determinare la conservazione, rinnovando le strutture profonde del patriarcato, o la rivoluzione, parola deformata e desueta, che è un processo sempre lento ma inesorabile.
Oggi cerco di guardare oltre il mio tempo con la straordinaria facoltà umana dell’immaginazione, seguo l’indicazione di tante donne che dentro la miseria del loro presente hanno deciso di guardare lontano, indovino la storia delle donne chiuse nelle pieghe del passato che hanno sostenuto i miei passi, sento vicine le donne che in paesi lontani e sconosciuti si muovono per la libertà.
So che posso guardare in profondità, dove si muove il rinnovarsi della vita, come nell’oscurità delle viscere terrestri e delle correnti marine.
Non ho molto tempo e i progetti sono alle spalle ma nessuna di noi appartiene solo al proprio tempo, nessuna di noi sa davvero a quale tempo appartiene.
Continueremo a partorire figli e figlie e loro dovranno misurarsi con nascita e rinascita, col senso del vivere che comprende il morire, con la storia e il desiderio, il fardello del passato e il soffio del futuro. Dovranno comunque farlo insieme, per noi ogni individuazione è un sistema di relazione.