Un eccesso di morte impedisce il lutto.
Sono morti che inghiottono il tempo e i sentimenti. Sono incommensurabili con il tempo delle nostre giornate.
Come posso mangiare e dormire e ridere e piangere e annoiarmi e correre per le strade delle nostre vite affollate e intasate di lavoro impegni persone?
Le persone morte si possono piangere una a una ma le uccisioni di massa, il genocidio di popoli ci costringe alla smemoratezza per vivere anche se non siamo colpevoli di indifferenza, ignavia, complicità.
Abbiamo bisogno di dimenticare almeno per qualche ora (per qualche giorno?).
Dimenticare è un dono negato a chi sopravvive all’orrore e quindi ricordare, per noi che l’orrore lo vediamo nelle immagini, lo leggiamo nelle notizie, è l’impegno di condividere l’enormità di una conoscenza che può annientare la vita col solo ricordo, se intorno a te non c’è un movimento che ti sostiene, che s’impegna per la vita imparando a stare dentro la morte, a non voltare le spalle alla propria responsabilità.
La responsabilità etica di una cittadinanza che non può esaurirsi nei confini artificiali della mappa politica del mondo.
La bandiera palestinese esposta sul mio cancello si sta strappando, come quella della pace ormai ridotta a brandelli.
Le lenzuola bianche che abbiamo steso per ricordare i sudari di Gaza erano moltissime eppure poche.
Quando ci chiediamo com’è possibile che un ragazzo diventi l’assassino di una bambina che aveva giocato a fare la fidanzatina, com’è possibile che siano uomini giovani a diventare così facilmente assassini della ragazza che hanno baciato, accarezzato, della donna che hanno detto di amare. Com’è possibile questo orrore quasi quotidiano conficcato nella nostra società ancora opulenta. Com’è possibile che una parte di giovani maschi si identifichi con gli assassini.
Chiediamo conto alla scuola e alla famiglia, guardiamo la pagliuzza mentre la trave si abbatte su migliaia di inermi uccidendo anche il nostro futuro.