“State a casa” è l’ordine di questi giorni ed è giusto, perché il primo imperativo è quello di fermare il contagio.
I decreti si occupano delle merci: produzione, trasporto, filiere dei beni necessari, costi economici, crisi delle imprese, problemi di liquidità, crollo dei redditi.
Le persone devono stare in casa, tranne chi lavora e il lavoro a cui si pensa è soprattutto quello delle fabbriche, grandi e piccole.
Non si pensa molto a chi lavora con le persone, a chi crea casa intorno a chi non può stare a casa sua: perché non ha casa, o la sua casa non è un luogo sicuro, o perché non è più in grado di gestire autonomamente la cura di sé e della sua casa.
Le persone devono stare in casa e mai come in questo momento le case possono rivelare l’insufficienza di spazio e diventare prigioni senza tutele per chi convive con una persona violenta, nella stragrande maggioranza dei casi donne e bambini reclusi con un uomo violento.
Ci si dimentica che le famiglie non sono soltanto quelle degli ineffabili quadretti che ci vengono presentati, ci si dimentica che nella maggior parte delle famiglie il carico del lavoro domestico è sulle spalle di una donna.
Sono quasi tutti uomini i personaggi noti che invitano a stare a casa, a godersi divano, TV e al massimo giochi con i figli.
Perfino i messaggi poetici invitano alla meditazione, alla lettura, al piacere della solitudine, a riscoprire la bellezza dell’universo, a vivere la pace della propria casa.
Peccato che le condizioni della vita reale si discostino spesso, come sappiamo dai dati precedenti la pandemia, da ogni idillico quadretto.
Mi colpisce il fatto che siano soprattutto uomini a proporre messaggi in TV: uomini famosi, accattivanti, simpatici, conosciuti.
In un primo momento ho pensato che si trattasse del solito maschilismo dei nostri mezzi di comunicazione, niente di più e niente di meno.
In questo periodo però mi sono data la regola di non fermarmi al primo pensiero perché i tempi ci pongono domande nuove e anche il pensiero deve uscire dai modelli consueti, dai percorsi semplificati.
Dato che sono uomini a parlare penso che si rivolgano prevalentemente a uomini perché sono meno abituati a stare in casa. Quindi ben venga che gli uomini parlino agli uomini e a questo proposito vorrei dare qualche modesto suggerimento: Vi prego, utilizzate il carisma che avete, il vostro volto pubblico, amabile, riconoscibile, per insegnare i lavori domestici agli uomini, mostrate come si lava un pavimento, come si dividono i panni per la lavatrice e poi si stendono bene per evitare la stiratura, insegnate a stirare che è un’attività di manualità fine utile a tenere sveglio il cervello, mostrate come si cucina nelle case vere, non in quelle da chef; anche rifare i letti, sistemare i cassetti, passare l’aspirapolvere sono attività che si possono imparare, sono noiose ma la noia è il terreno su cui nascono nuove idee.
La noia è il terreno di coltura della creatività.
So che alcuni uomini fanno i lavori domestici e sono felice per loro perché l’autonomia personale è il primo passo dell’esistenza adulta: fare esperienza di responsabilità di sé e del mondo circostante è l’unica strada per diventare, tutti e tutte insieme, quella democrazia moderna fondata su libertà e giustizia che ancora non siamo.
Ai molti uomini che “aiutano” non mando il mio apprezzamento, come fanno di solito le donne grate e compiaciute, mando invece un incoraggiamento: in questo momento di emergenza potete fare un passo in più, uscire dalla fase “elementare” ed entrare in quella “media” o perfino “superiore”. Come diceva mia madre, classe 1916, fare le pulizie e gestire un’abitazione dovrebbe essere insegnato all’università.
Gli uomini che ci invitano a stare in casa, con i loro paterni sorrisi televisivi o social, potrebbero mandare un messaggio agli uomini violenti, che rendono la casa un inferno: questa è l’occasione per cambiare, non per recuperare un rapporto, perché sappiamo che le relazioni attraversate dalla violenza non sono recuperabili, ma per recuperare se stessi, per diventare uomini e non restare delinquenti latitanti.
Chi scrive i decreti dovrebbe tener conto di tutte le situazioni abitative perché la condizione delle persone qualche volta richiede una mobilità altrettanto necessaria quanto quella delle merci indispensabili alla vita quotidiana e alla cura delle persone.
Il divieto di spostarsi da un comune all’altro rischia di peggiorare la situazione di bambine e bambini, figli di genitori separati, rischia di peggiorare la situazione di donne che stanno ricostruendo la propria vita lontane dal coniuge maltrattante e non riescono a riavere con sé i propri figli e figlie.
Il sostegno alle famiglie deve cominciare da quelle in difficoltà, e non solo economica, e chi ha competenze di governo non deve dimenticare che in una democrazia i diritti sono personali, non devono dipendere dalla famiglia che, se esiste come nucleo affettivo, affettuoso e solidale di esseri liberi, va certamente sostenuta, ma senza dimenticare che donne e uomini, bambine e bambini, vanno tutelati dentro la propria realtà.
Chi scrive i decreti dovrebbe tener conto della complessità delle relazioni umane e dare indicazioni ai servizi, purtroppo insufficienti e taglieggiati come la sanità.
L’andamento delle borse in questo momento è il minore dei problemi per la maggior parte della popolazione.
Rileggendo la storia il timore più grande è che vinca la speculazione sul diritto e si riproducano, in forme diverse, le ingiustizie di sempre.
Voglio aggiungere una richiesta: per favore non approfittate della pandemia per cancellare di nuovo l’esistenza femminile nella comunicazione.
Le infermiere sono più numerose degli infermieri, le educatrici che si occupano di minori nelle comunità sono più numerose degli educatori, le assistenti di anziani e disabili, le operatrici dei servizi di pulizia, sono più donne che uomini.
Se cancelliamo le donne dalla lingua non riusciamo a vederle nella realtà e finiamo con l’abrogare i diritti di cittadinanza di chi è più vulnerabile non per condizione personale ma perché troppo a lungo la legge stessa ha costruito le condizioni della vulnerabilità.
Rivolgo l’invito agli uomini ma soprattutto alle donne: le condizioni di maggiore vulnerabilità all’attacco virale sono costruite dentro il nostro sistema sociale, dentro il neoliberismo patriarcale che si riproduce anche con il fondamentale sostegno delle donne che ancora parlano dell’UOMO a caratteri cubitali come soggetto universale della specie che invece è due.
Mutare il paradigma del nostro pensiero potrebbe aiutare perfino nella comprensione delle mutazioni virali.
Perciò le norme che ci tutelano dalla pandemia non possono diventare, nemmeno involontariamente, forme di legittimazione della violenza.
Chi si occupa del bene pubblico e in questo momento cerca di farlo onestamente e con le migliori energie e intenzioni, non deve dimenticare che il coronavirus agisce nella nostra realtà.
Una realtà che, prima del contagio, non era certo il migliore dei mondi possibili.