Segnatempo per la scuola

Pensiamo il territorio per differenze, il viaggio per tappe, il tempo per date e durate.
La parola segnatempo non esiste ma l’ho inventata, orecchiando il segnaposto, perché noi inventiamo momenti, quelli che oggi chiamiamo impropriamente eventi, per segnare i passaggi importanti personali e collettivi.
Nello scorrere dei giorni scolastici ricordiamo qualche imprevisto, qualche incontro e i momenti collettivi come le gite scolastiche e le cerimonie o feste che hanno segnato il passaggio a un diverso ordine scolastico che rappresenta un passaggio d’età, di responsabilità, esperienze, e a un certo punto scelte.
Apriamo la possibilità della movida ma non riusciamo a pensare collettivamente un rito di passaggio per i bambini e le bambine, i ragazzi e le ragazze che lo scorrere inesorabile del tempo, quindi l’età, trasferirà a settembre in un mondo scolastico diverso.
Al massimo la discussione si è stanziata sugli esami in presenza senza pensare che gli esami sono anche un passaggio cruciale nelle relazioni tra una collettività di adulti, insegnanti, e quella di allieve e allievi.
Non ho sentito una parola sulla dignità della relazione affettiva intrinseca ad ogni relazione educativa senza la quale l’insegnamento sarebbe solo addestramento e l’apprendimento occasionale memorizzazione.
Perché il 2 giugno, dal quale viene finalmente cancellata la parata di mezzi militari, di fatto incongruente con l’art. 11 della Costituzione, non festeggiamo la scuola e insieme alla scuola tutti i lavori della riproduzione sociale che abbiamo dovuto onorare come indispensabili?
Perché per settembre non viene pensata una festa della scuola, collettiva e diffusa, nelle case dove tutte e tutti abbiamo cominciato il nostro apprendimento della vita, dalle case dove siamo rimasti in protezione?
Invece di spaccare il capello in quattro per pensare la valutazione a distanza, operazione impervia fino al ridicolo, perché non diffondiamo la proposta di pensare a una festa, sicura per la nostra salute, creativa per la libertà dei talenti, nutriente per la vita collettiva democratica e la speranza del futuro che comunque le nuove generazioni rappresentano?