La scuola per un mondo possibile

A un certo punto bisogna concludere, anche sapendo che molte cose mancano. Da molto tempo cercavo di non pensare alla scuola per non reiterare sentimenti di impotenza e delusione, consapevole che la mia posizione sociale oggi mi pone nella condizione di un’ex insegnante che non conta nulla. Quest’esercizio di scrittura, di cui vedo tutte le lacune, si ferma qui. Sono grata ad Alessandra Bocchetti per avermelo chiesto e per aver rimesso in moto pensieri che hanno lievitato per anni, perfino a mia insaputa. Ciò che oggi non sembra possibile potrebbe diventare ovvio domani, per questo continuo a fare la mia parte e cerco di farla onestamente evitando di fare danno, così come ho insegnato a scuola.

QUALE SCUOLA PER QUALE SOCIETÀ?
 
Paura, prudenza, coraggio: abbiamo bisogno di accompagnare la sequenza dei nostri sentimenti fino a ritrovare l’azione che nasce dal cuore, mantenendo il pensiero in sintonia con il ritmo della vita che misteriosamente prescinde dalle nostre decisioni eppure ne è sempre condizionato.
Ci si chiede da dove e come ripartire e la risposta dovrebbe essere ovvia: dalla scuola perché lì sta crescendo il futuro, che non è certamente prevedibile ma è sempre esito della complessità vitale che definiamo presente.
Mettere al centro la vita delle generazioni in crescita significa rileggere il mandato sociale affidato alla formazione pubblica, dalla nascita all’età adulta, decidendo come rendere determinanti i valori fondativi di quello che definiamo Stato nazionale, scritti nella Costituzione della Repubblica democratica.
Provo a tracciare un disegno che poi, come nella tradizione del migliore artigianato artistico, può essere completato solo da un particolareggiato lavoro collettivo, per il quale abbiamo importanti filoni storici a cui attingere e un insieme diffuso di pratiche sedimentate nel concreto lavoro scolastico.
La pandemia e la necessità di chiudere le normali attività della vita sociale, dal lavoro all’intrattenimento, ha reso visibile tutta la trama resistente dei lavori indispensabili che non si fermano mai, svolti da persone invisibili alla rilevanza mercantile e al clamore, corpi fuori scena che rendono possibile la vita. Le donne, protagoniste assolute della gestione domestica e famigliare, sono anche la maggioranza dell’invisibilità lavorativa necessaria, sono complessivamente la forza riproduttiva del paese.
Oggi l’invisibilità misura la propria forza contrattuale in ogni settore, in ogni luogo e non possiamo pensare che torni al lavoro subalterno e sfruttato chi ha trovato voce. La retorica dell’eroismo si è infranta sulla quantità enorme delle persone da cui dipende la nostra vita, indispensabili per l’esistenza di tutta quell’economia che solitamente le ignora.
L’elastico delle contraddizioni sociali non può essere tirato fino alla rottura perché sappiamo che la violenza sommersa e di lunga durata può esplodere sempre in forme impreviste e con alti costi umani.
Investire sulla scuola significa cominciare un processo riparativo delle ingiustizie riconoscendo la necessità di interromperne i processi riproduttivi cominciando subito, affidando alle giovani generazioni quella giustizia che ha bisogno della reciproca conoscenza, del riconoscimento umano tra eguali, di un nuovo diritto comune sui beni della terra.
Niente è possibile senza il riconoscimento del femminile come genere e della lunga storia di una cultura censurata, omessa, perseguitata insieme alle donne che l’hanno vissuta e testimoniata nei corpi e nelle vite.
La cultura patriarcale si può disertare. Abbiamo bisogno di una diserzione diffusa nelle relazioni e nelle istituzioni.
 
La riforma mancata
Scuola, nel senso originario greco di Skholé, significa tempo libero e in questa direzione è stato pensato e conquistato, per ora parzialmente, il diritto allo studio, che possiamo interpretare prima di tutto come tempo liberato dal lavoro, e quindi dal lavoro minorile, dalle incombenze domestiche, dagli obblighi della condizione sociale e familiare, dalle limitazioni della condizione personale.
La scuola dovrebbe essere la strada per trasformare la casualità della nascita nell’armonia della vita di cui si diventa titolari alla ricerca di un’esistenza libera e appagante, cammino sempre individuale e imprevedibile che la società può solo facilitare.
Il diritto a un tempo in cui crescere, individualmente e insieme, per trovare la propria strada nel mondo.
Quindi la scuola non avrebbe bisogno di aggettivi, ma in questo momento serve accostare l’aggettivo “democratica” per indicare la direzione, perché la direzione consente di vedere la strada e aprirla camminando quando non c’è.
Il nostro mondo, entità geografica diventata politica da meno di un secolo e mezzo,  è oggi un paese democratico, che si è unito ad altri paesi democratici in un territorio geografico diventato configurazione politica relativamente recente.
La democrazia, come espressione di cittadinanza progressivamente egualitaria per tutta la popolazione abitante, è stata conquistata nella seconda metà del Novecento contro il progetto di una società gerarchica, sessista, classista, schiavista, razzista, che fascismo e nazismo pretendevano di sedimentare in Italia e in Europa, usando armi, violenza e guerra di conquista coloniale.
La repubblica democratica definita dalla Costituzione è nata dopo una guerra devastante, esito di vent’anni di regime fascista, a sua volta reso possibile da una forma di Stato tiepidamente liberale, diffidente nei confronti della libera espressione politica di contadini/e e operai/ie, cioè della maggioranza di popolo che pretendeva di rappresentare, ostile alla parità giuridica delle donne, (sempre più della metà di popolazione) che quindi sono state doppiamente sfruttate e ostacolate in tutti i mestieri esercitati, dall’agricoltura alle libere professioni, dalle lavandaie alle maestre e rimosse come genere fondamentale per la riproduzione anche culturale della società.
La Scuola della Repubblica ha ereditato la struttura, i contenuti, l’impronta ideologica e l’impianto sociale definiti dalla legislazione dello Stato monarchico-liberale, ridefinita dalle riforme fasciste, espresse da un parlamento asservito alla dittatura, dopo l’espulsione e persecuzione di tutte le opposizioni e culminata nelle leggi razziste.
Gli aggiustamenti, che hanno percorso i settant’anni della Repubblica, risultato di sguardi lungimiranti, dibattito democratico, impegno generoso e diffuso di una parte significativa del ceto insegnante uscito dal laboratorio politico dell’antifascismo prima, e poi dalle lotte libertarie sindacali e femministe degli anni Settanta, hanno messo toppe, piccole o grandi, ma non sono riusciti a modificare l’impianto, rimasto sostanzialmente sessista, classista e perfino con aspetti razzisti (pensiamo al ritardo nell’inclusione dei cosiddetti disabili), nei contenuti e nella struttura, tanto che non si sono stabilizzate le opportunità espresse dalla scolarizzazione di massa e le migliaia di buone pratiche introdotte, soprattutto negli anni ‘60-‘90 da un ceto insegnante competente, con generale convinzione democratica e convinte finalità socialmente egualitarie.
Nel rinnovamento democratico, inclusione egualitaria, diffusione del sapere, cura dei bisogni, promozione umana garantite dalla scuola, sono state fondamentali le donne, ma sono state anche, spesso, le garanti dell’ordine esistente e perfino della propria irrilevanza come genere, dentro una struttura lavorativa che ha da sempre strutturato la gerarchia, tra scuole, ordini di scuole e nei ruoli interni alle singole scuole, sul sessismo implicito e subdolo proprio perché non dichiarato.
 
La controriforma strisciante
Sono bastate poche, ma determinanti, riforme strutturali (tra cui, fondamentali, la riduzione del personale insegnante, l’aumento del numero di persone per classe, l’accorpamento delle scuole, la gestione aziendale) insieme a una campagna squalificante, fino al disprezzo, nei confronti degli/delle insegnanti, per ridurre la scuola ad appendice del mercato e alla mercé delle famiglie, spesso disorientate e confuse, il primo assunto a regolatore delle vite considerate fin dall’infanzia capitale umano da addestrare e selezionare, le seconde incoraggiate a competere attraverso figli e figlie, ridotti a materia riproduttiva della posizione sociale raggiunta o sognata, dei desideri legittimi o ambizioni smodate, responsabili dirette di successo o fallimento, con l’esito di un’enorme quota di lavoro invisibile attribuita, con un eufemismo politicamente scorretto, ai genitori e alla loro genitorialità, di fatto alle madri.
La genitorialità e la famiglia, continuamente esaltate, sono state in realtà sottoposte a sfruttamento e a un controllo sociale che li ha resi terminali asserviti a supporto di tutte le carenze sociali.
Non stupisce che questo processo concorra a disincentivare il desiderio di mettere al mondo bambini e bambine perché il peso lavorativo per le donne, a fronte di tutte le incertezze, comprese quelle relative alla sicurezza del proprio lavoro, disegna un mondo nel quale la prole ridiventa patrimonio famigliare, proprietà protetta dalla filiera delle genealogie ereditarie con forme di dipendenza tra generazioni che, di fatto, vanno a intaccare i diritti di cittadinanza. Una situazione alla quale non si può mettere la toppa di qualche occasionale incentivo o bonus.
La scelta delle giovani donne è un implicito e collettivo giudizio politico sulla nostra società, esercitato anche grazie alla libertà di scelta conquistata dalle generazioni precedenti, di cui la scolarizzazione è stata motore, e segnala la permanenza di quel senso di responsabilità diffusa che ha contraddistinto la lunga storia femminile dentro la specie umana, esercitata in qualsiasi condizione.
Contemporaneamente su una scuola deprivata di personale e investimenti si sono riversate richieste educative impossibili aggiungendo vincoli e mandati in forma di progetti estemporanei (e miserabili salari aggiuntivi) che hanno ulteriormente deprivato il libero dialogo educativo con una costante mortificazione del ruolo insegnante.
Le generazioni cresciute a partire dagli anni ’90 hanno vissuto la ferocia dello slittamento da diritto allo studio a successo formativo camuffato sotto l’imperativo di efficacia ed efficienza, costrette/i dentro misurazioni di livelli, educate/i alla competizione, definiti dalle certificazioni, in corsa per quella selezione che la vita già di per sé impone con la sua onesta ferocia e che una civiltà democratica dovrebbe, appunto, correggere.
I tagli alle risorse scolastiche, in termini di personale prima di tutto e poi generati dall’omissione di interventi,
non hanno migliorato la tenuta economica del paese, anzi, il tesoretto risparmiato è stato completamente dissipato da molte pratiche deficitarie, per usare un eufemismo, sia pubbliche che private, con responsabilità politiche a cui si legano indissolubilmente quelle di tutta l’evasione fiscale e della criminalità organizzata.
Le crescenti differenze sociali sono state favorite anche dall’erosione della scuola pubblica e dalle dinamiche selettive che hanno contemporaneamente generato diffidenza e/o disaffezione e/o scetticismo nei confronti delle procedure democratiche.
 
Una scuola democratica
In una democrazia la scuola è il luogo centrale della riproduzione sociale, quindi uno spazio-tempo in cui imparare, insieme a tutti i linguaggi elaborati dalla cultura nella sua dimensione storica e in divenire, comportamenti sociali come la cooperazione, la gestione nonviolenta dei conflitti, il dibattito delle idee, l’esercizio dei diritti pari, le relazioni rispettose, l’accudimento e manutenzione dell’ambiente, la responsabilità del proprio agire e la cura delle persone con cui si vive, il rispetto per il lavoro a cominciare da qualsiasi lavoro di servizio.
Il rapporto tra spazio, tempo e persone, in relazione a ciò che una società vuole riprodurre, è il nodo cruciale che definisce la Scuola e ogni singola espressione dell’istituzione stessa che, accompagnando la crescita di bambine e bambini, accanto a genitori famiglie territorio, deve offrire un luogo egualitario che prescinda da ogni differenza di condizione, valorizzando l’unicità umana di ognuna e ognuno, la consapevolezza delle storie d’origine, la libertà come dimensione imprescindibile nel vivere il presente e nell’immaginare il futuro, dentro la responsabilità dell’agire, che è sempre individuale e collettivamente connessa.
La scuola è prima di tutto relazione: tra collettività adulta e collettività giuridicamente minore, in veloce mutamento tra infanzia e maturità; è un tempo della vita, ormai relativamente breve rispetto alla speranza di vita in Occidente, e una struttura del tempo; è costituita da luoghi, diffusi sul territorio, abitazioni e habitat formativo delle persone in crescita dentro il tessuto urbanistico e la vivibilità ambientale.
La scuola è centrale nelle pratiche riproduttive collettive della società perché è il luogo in cui si imparano regole procedure valori orientamenti linguaggi che si traducono in dispositivi inconsci del corpo e ne inducono i pensieri, riproducendo non solo i contenuti culturali in continuo mutamento ma le persistenze strutturali di una società, insieme alla percezione e definizione delle risorse che ne sostengono l’esistenza.
Quale società vogliamo è una domanda fondamentale per decidere come deve essere la scuola ed è tempo che nasca la scuola della Repubblica democratica, alleggerita prima di tutto dell’eredità sessista, sopravvissuta come forma naturale della predominanza maschile e del maschile anche nelle molte forme di inclusione della parte femminile della popolazione, e oggi condizione imprescindibile per un mutamento del complessivo modello istituzionale.
 
Una riforma che sia nuova istituzione
Le forme sono determinanti nell’espressione dei contenuti culturali, mutevoli ma sempre risignificati dal contesto che li trasforma inducendo l’agire umano.
Una riforma della scuola si fa in corso d’opera perché, come tutti i lavori della riproduzione umana, non si può interrompere e cominciare da capo, perciò si tratta di pensare insieme un grande cambiamento, richiesto dalla realtà prima ancora che dalla percezione elaborata, tenendo conto delle regole basilari del riciclo e della sostenibilità, della salute e della vivibilità, non solo come forme difensive e riparative ma creativamente capaci di ripensare tutte le complesse relazioni tra ambienti e abitanti di vita scolastica.
Tenendo conto che la scuola nasce per maschi, e maschilista, e non è mai stata ripensata come istituzione di un paese democratico perché la democrazia stessa è nata maschile e maschilista.
Gli aggiustamenti hanno consentito alla democrazia di non essere contraddittoria e alla scuola di non essere troppo ingiustamente selettiva ma oggi sono del tutto insufficienti e obsoleti perciò va pensata per la scuola un’operazione di riforma analoga e in sintonia con la Costituzione.
Come in tutte le operazioni di riciclo si tratta di pensare un contenitore nuovo in cui riutilizzare, e al quale concorrono, tutte le pratiche che l’hanno già in parte prefigurato e perfino spesso realizzato nelle condizioni date.
Spesso le pratiche più utili alla crescita di una collettività democratica sono state realizzate nelle condizioni più difficili, costituendo un insieme di risorse che hanno sempre e comunque sostenuto il paese occupandosi con creatività della popolazione in crescita.
Ho imparato a scuola ad ascoltare e talvolta farmi argine contro l’invadenza di procedure persecutorie, persistenti e continuamente rinnovate anche se contraddette dal meglio del pensiero pedagogico e filosofico, disprezzato in nome di un aziendalismo che ha immaginato di ridurre la scuola a catena di montaggio per la selezione della forza lavoro adeguata e la scrematura di una classe dirigente asservita ai privilegi.
La scuola è centrale nelle pratiche riproduttive collettive della società perché è il luogo in cui si imparano regole procedure valori orientamenti linguaggi che si traducono in dispositivi inconsci del corpo e ne inducono i pensieri, riproducendo non solo i contenuti culturali in continuo mutamento ma le persistenze strutturali di una società, insieme alla percezione e definizione delle risorse che ne sostengono l’esistenza.
L’emergenza sanitaria, che ha portato alla chiusura fisica della scuola, ha reso visibili risorse e carenze, del personale, dei mezzi tecnologici, dell’organizzazione, ma soprattutto ha reso visibile la qualità intrinseca della scuola che è sempre dialogo educativo in presenza.
L’anno che comincia a settembre costringerà ogni scuola a sperimentare, quindi ci saranno le condizioni ottimali per coinvolgere tutto il personale in un processo costituente inedito.
 
Abitare la scuola
La prima dimensione che conosciamo nella vita è lo spazio, il primo senso costantemente attivo, e che tale resterà per tutta la vita, è la percezione della pelle, quello che riduttivamente definiamo tatto, attivo anche mentre dormiamo, insieme all’olfatto che vive dentro il respiro, mentre gli altri sensi, vista udito gusto, riposano, e il nostro cervello rielabora la memoria insieme ai bisogni sognando.
Si nasce abitanti, della pancia di mamma, di una culla, delle braccia che ti sorreggono e dei supporti che le sostituiscono di cui fa esperienza varia il corpo. Poi via via abitiamo luoghi più grandi, impariamo a conoscerli e trasformarli, impariamo a inventarli, costruirli, perfino distruggerli, impariamo a nominarli, arredarli, renderli adeguati alla nostra vita reale e a ciò che ne pensiamo, perfino elaborando convinzioni che quella stessa vita, nostra o altrui, deformano e danneggiano.
Abitare è l’esperienza costante della vita umana e il nostro abitare ci rende anche nomadi tra case diverse e luoghi della socialità, lavorativa, di svago, di cittadinanza, che sono altrettanto fondamentali da abitare per la sperimentazione della libertà di esistenza.
Abbiamo imparato che lo spazio intorno a noi non è inerte ma habitat dentro cui muoviamo e interagiamo con la nostra esistenza costruendo la nostra storia.
Tra la coscienza fisica che abbiamo del nostro vivere e quello che definiamo ecosistema in senso lato, c’è la costante intercapedine dei luoghi che qualificano e definiscono il territorio abitato.
La cura dei luoghi di vita è stata nei secoli competenza femminile e per molti versi ancora oggi affidata alle donne, sia nel lavoro invisibile svolto nelle case, che nel lavoro di pulizia e manutenzione scarsamente retribuito, spesso precario e svolto in condizioni di difficile possibilità di contrattazione sociale.
Si tratta di riconoscere quella che tanti anni fa Lidia Menapace ha definito Scienza della vita quotidiana, la cui necessità deve prevedere sia l’insegnamento che il riconoscimento.
La scuola è un modello dell’abitare, istituzione recente e con accesso diffuso a tutta la popolazione da meno di un secolo, quindi interrogarsi sul modello dello spazio scolastico non è solo faccenda per architetti/e e vincoli di bilanci pubblici ma riguarda la forma materiale della riproduzione democratica.
Ad esempio se veniamo intruppati nella serialità dei banchi messi in file precise e rivolti alla cattedra per tutti gli anni dell’apprendimento scolastico impariamo che l’unico modo per esistere individualmente è quello di trovare collocazione nella scala delle valutazioni, in obbedienza alle pratiche correnti, o esprimere un ribellismo magari creativo ma poco incisivo, con il rischio perfino di mutarsi in autolesionismo fisico o sociale, impariamo che la nostra esistenza più autentica è costretta a svolgersi sottobanco.
Se le aule colorate dai disegni, i lavori in gruppo, i banchi eliminati nel circle time, sono appannaggio della scuola d’infanzia ed elementare, man mano eliminati negli anni dalla scuola media alla fine delle superiori, la disciplina interiorizzata diventa anche una gerarchia delle discipline e l’indicazione di una gerarchia sociale tra lavori che diventa gerarchia delle intelligenze umane, delle competenze e alla fine riproduce la gerarchia sociale perfino contro il dettato Costituzionale che ha istituito la repubblica fondata sul lavoro, non sulla ricchezza o sul profitto e nemmeno sulla felicità, che può essere nobile auspicio ma resta responsabilità individuale e casualità della vita di cui la Repubblica deve garantire la possibilità comune e condivisa e non certificarne il diritto.
 
La scuola: una casa non una caserma
Nella scuola come luogo della riproduzione sociale lo spazio va ripensato tenendo conto della prima e fondamentale forma dell’abitare: la casa, dentro la quale la risposta ai bisogni individuali è sempre educativa, nel bene e nel male.
Nella casa si modella il nostro modo di stare al mondo, stanze e mobili disegnano percorsi, danno forma ad abitudini che vengono rielaborate in convinzioni.
La separatezza delle case, luogo per eccellenza del privato, da tutti i luoghi pubblici, implica forme di convivenza famigliare e sociale spesso rigide, che riproducono perfino gesti e posture di regimi superati dalle leggi ma ancora operanti socialmente.
Le case rendono visibile sul territorio la stratificazione sociale e le differenze di reddito, ma all’interno configurano comunque la possibilità e sostenibilità della vita, perfino in condizioni di oggettiva carenza di spazio e risorse.
La scuola può diventare un modello che favorisce l’osmosi vitale tra spazi del privato, luoghi della socialità e luoghi istituzionali, favorendo inedite aperture e felici invenzioni.
Si tratta di recuperare quella straordinaria esperienza dell’abitare che trova nella casa il riparo fisico e psichico nel mutare delle vite, nel sovrapporsi delle storie, nel continuo cambiamento che procede anche contro la rigidità delle forme architettoniche e ne determina il rinnovamento.
Nelle nostre città e paesi ci sono molti edifici che sono stati riconvertiti a scuole e abbiamo già sperimentato che grandi ville e conventi sono più adeguati delle caserme o dei collegi progettati dal e sul modello militare.
La crescita è uno straordinario e stupefacente processo che muta il corpo in modo irreversibile nella sua capacità percettiva degli spazi che quindi devono essere adeguati alle fasi della crescita, che è sempre anche esperienza di connessione col mondo.
Pensare la scuola guardando al modello della casa non significa riprodurre esperienze famigliari e familiste ma trasferire nello spazio collettivo le ragioni che rendono la domesticità più sostenibile dal punto di vista dell’uso delle risorse, più governabile nelle relazioni tra i soggetti, più rispondente ai reali bisogni delle singolarità individuali.
Significa ripensare, perché sia collettivamente fruibile, tutto il sapere domestico profuso continuamente dalle donne, che è anche la più sicura base economica, se ricordiamo il significato originario del termine.
 
Scuola e conoscenza del territorio
La scuola può favorire la conoscenza del territorio attraverso lo scambio ospitale, mescolando le tante esperienze già presenti per il tempo libero e quelle dei periodi di studio, come il quarto anno dei licei in paesi stranieri, o come l’Erasmus universitario, generalizzando le esperienze per tutte e tutti come dimensione formativa con l’organizzazione stabile di momenti di scambio, in forma adeguata all’età e graduale come esperienza fin dal primo ciclo, con il coinvolgimento di tutta la comunità territoriale a partire dai Comuni e quartieri cittadini.
Le persone adulte conoscono il territorio attraverso la migrazione lavorativa o il viaggio per vacanze, la scuola può essere determinante per la conoscenza delle storie territoriali, aiutando a crescere libere e liberi da stereotipi identitari e allargando gli orizzonti dentro cui pensare il proprio futuro.
Dalle passeggiate alla scoperta dell’ambiente in cui si vive, e di cui si impara la vita, all’apprendimento dell’uso dei mezzi pubblici in forma via via più autonoma per spostamenti nella provincia e regione, con un costante rapporto con le iniziative culturali, bambine e bambini, ragazze e ragazzi, possono crescere nella consapevolezza che tutti e tutte concorrono alla qualità della vita sociale, da cui derivano le opportunità di quella individuale.
Il rapporto della scuola con il territorio deve essere di conoscenza prima che di interscambio economico. Le ragazze e i ragazzi devono poter conoscere tutte le opportunità lavorative e non essere vincolate/i al territorio in cui crescono: le differenze tra città e piccoli paesi, tra province e ragioni, tra mare e montagna, laghi e colline, sono la ricchezza dell’Italia, testimonianza di storia, culture ed economie aperte a letture e vita delle generazioni a venire che oggi non possiamo immaginare ma certamente favorire.
In questo modo anche il rapporto con le imprese economiche, artigianato industria commercio servizi, sarebbe subordinato al valore sociale e culturale che la scuola renderebbe visibile senza mai dimenticare la centralità di tutti i lavori della riproduzione.
Il rapporto con la miriade di istituzioni culturali diffusa sul territorio sarebbe un modo di trovare il proprio protagonismo senza inutili celebrazioni gerarchiche, godendo collettivamente di talenti e bellezza senza privilegi, dentro collettività che imparano a riconoscersi in un inedito rapporto tra accesso singolare alla globalizzazione dei social e scoperta del limite nell’esistenza dei corpi singoli che imparano a vivere accanto in una prossimità autonoma e solidale.
 
Tempo
Il tempo, dimensione del nostro esistere nel mondo, è imprescindibile dalla spazialità e l’esperienza scolastica ne unisce inscindibilmente gli aspetti nella costruzione della nostra socialità.
Il tempo scolastico è una delle strutture portanti dentro cui siamo cresciute/i, a cui si assoggettano i sistemi famigliari e perfino, soprattutto un tempo, quelli produttivi, perché diventa una forma interiorizzata, una scansione dei giorni e delle stagioni, un ritmo dell’agire umano che, nel tempo della crescita, è anche passaggio da luogo a luogo.
Il tempo dell’esercizio del diritto scolastico deve essere di quindici anni, dai tre ai diciotto, senza interruzioni o ripetizioni, suddiviso in due cicli, dai tre ai dodici e dai dodici ai diciotto anni, con scansioni triennali che celebrano passaggi dell’età e costituiscono l’accesso a differenti apprendimenti.
Il diritto alla scuola deve essere connesso con un diritto educativo sociale per i primi tre anni di vita, quindi con la diffusa presenza di nidi fino ai tre anni di età, e con il diritto allo studio per la specializzazione in funzione lavorativa, per gli anni successivi, e con un’auspicabile riforma non aziendalistica dell’università e dei luoghi di ricerca.
Inoltre va pensato il diritto alla formazione permanente prevista e aperta a tutta la popolazione di ogni età e condizione anche in relazione con enti e istituzioni culturali del territorio.
Nella vita gli anni non si possono perdere né ripetere, come ben sappiamo, quindi lo stesso accade a scuola dove, come nella vita stessa, l’apprendimento resta anche responsabilità individuale, sempre e a qualsiasi età. Vanno quindi definiti percorsi che garantiscano l’apprendimento sostenendo adeguatamente chi ha difficoltà e valorizzando al massimo tutte le capacità e i talenti.
L’insegnamento scolastico deve sostenere, favorire, sollecitare, consentire, stimolare, indurre, l’apprendimento, nella consapevolezza che ad ogni età si è responsabili della propria crescita.
La scuola dal lunedì al venerdì, dalle 9 del mattino alle 17 del pomeriggio, compreso il pranzo, come luogo in cui apprendere una socialità diversa, non contraria ma nemmeno asservita a quella famigliare, in cui scoprire il significato di regole condivise per la comune convenienza e non imposizioni autoritarie. Una scuola in cui l’autorevolezza non sia scontata e il conflitto gestito senza essere né occultato né svalutato.
Rallentare i processi di apprendimento, rivedere i contenuti con il senso del limite e dell’opportunità sono le condizioni perché nella scuola cresca la cittadinanza democratica che necessita di un abbattimento delle procedure burocratiche e della funzione di controllo vincolante attribuito alle procedure stesse.
L’esercizio della responsabilità da parte di tutto il personale adulto non deve essere sottoposto al timore del ricatto penale incombente. I genitori hanno un proprio dovere educativo che non può tradursi in potere ricattatorio sulla scuola perché le istituzioni che hanno il compito della crescita delle giovani generazioni non ne sono proprietarie.
I ritmi del lavoro scolastico devono consentire processi di verifica costanti, educativi e non assoggettanti o mortificanti, condivisi e funzionali a possibilità di recupero e/o approfondimento in relazione alle storie individuali, con risorse adeguate a colmare la provenienza da situazioni deprivate.
I ritmi scolastici devono liberare i genitori/le genitrici, e tutte le figure che svolgono funzioni analoghe, da vincoli di impegno e controllo mentre la legislazione deve prevedere l’adeguamento degli orari di lavoro di ogni genitore ai ritmi scolastici di figli e figlie per il primo ciclo.
Lo scambio tra famiglia e scuola non deve avere carattere valutativo ma solo affettivamente civile e celebrativo dei passaggi di età.
Il tempo scolastico è anche un tempo per la conoscenza del territorio, da quello più prossimo progressivamente a quello più lontano, della provincia, della regione, di altre regioni e di altri paesi.
Per la scuola è necessario un pensiero situato nel presente e in movimento verso quel futuro che ha continuamente sotto gli occhi chi svolge un mestiere che riguarda l’insegnamento.
In nessun luogo, come nella scuola, il passaggio del tempo è tangibile, i mutamenti imprevedibili nel succedersi delle generazioni, che presentano gli stessi bisogni nella straordinaria diversificazione individuale e connessione collettiva, in continuo rapporto con i mutamenti sociali.
 
Spazio tempo soggetti
La dimensione delle scuole deve essere adeguata a un limite massimo e minimo di alunne e alunni in modo da consentire una gestione disegnata sul modello domestico e in relazione all’età.
Una divisione tra primo e secondo ciclo non deve significare separazione tra due mondi non comunicanti.
L’intero percorso scolastico va ripensato con scansioni temporali ma non in forme fisicamente segreganti.
Edifici vicini, anche con ambienti comuni, adeguati a gruppi classe con un rapporto di un/una insegnante per 4/10 bambine/i nel primo ciclo (con un massimo di cinque per l’età 3-6 anni e massimo dieci fino a 12 anni) e di un/una insegnante per 8/15 allieve/i nel secondo ciclo.
Un modello architettonico più vicino al condominio che alla caserma, più gestibile anche sul piano della manutenzione e dei costi di funzionamento.
Non la scuola-fabbrica, separata dal territorio ma edifici urbanisticamente inclusi.
L’esperienza del gruppo classe, che favorisce la collaborazione stabile, andrà accompagnata con lo scambio tra gruppi in relazione alle esperienze didattiche previste, anche con la costituzione di gruppi più piccoli e/o lavoro in compresenza, o incontri per gruppi costituiti da più classi fino alle assemblee generali, per le attività che lo richiedono.
Nell’arco della settimana vanno organizzate esperienze di mutuo aiuto, insegnamento, gioco, tra piccole/i e grandi e analogamente tra tutte le età per favorire la cancellazione della segregazione tra le diverse età della vita, favorire la responsabilità e la consapevolezza, promuovere l’apprendimento concreto di tutte le discipline umanistiche, artistiche e scientifiche, che si misura e verifica nella capacità di dialogo maieutico a tutte le età.
Ogni scuola penserà l’organizzazione dell’esperienza del gruppo classe senza la costante segregazione tra le classi, con tempi spazi relazioni variamente condivise tra i diversi soggetti in relazione alle attività di apprendimento sia teorico che pratico.
Gli stessi piani annuali d’insegnamento andranno gestiti in modo da favorire lo scambio educativo tra le diverse classi di età, tra infanzia e adolescenza. Un’organizzazione del tempo scolastico in cui si diventa contemporaneamente allievi/e e insegnanti, coordinate/i e coordinatrici/coordinatori con rotazione dei ruoli in cui sperimentare inclinazioni, talenti, limiti, inventiva e sempre responsabilità.
Uno spazio adeguato ad accogliere un tempo di gioco libero, compresa l’esperienza del gioco solitario e di gruppo, della noia e della libera invenzione, con una presenza adulta discreta e sempre relativa all’età dei soggetti che imparano la responsabilità di sé e del gruppo, la meraviglia delle scoperte e la frustrazione dei limiti nella relazione tra domande e risposte conosciute.
I mobili non devono diventare immobili, servono tavoli e sedie, ma anche tappeti cuscini divanetti poltroncine. Gli argomenti e apprendimenti non richiedono tutti la stessa postura e allenare la mente significa anche sperimentare il corpo.
Nella scuola occorre avere possibilità di un proprio spazio intimo senza dover essere segreto o segregato: un proprio armadietto, una sedia comoda, un appoggio per scrivere e un angolo per leggere. Non la serialità ma la creatività, compreso il riciclo di arredamenti e oggetti la cui manutenzione sarà facilitata proprio dal rapporto tra piccolo gruppo di allieve/i e insegnanti.
Le intuizioni praticate nella scuola dell’infanzia ed elementare possono trasformarsi a misura di corpi adolescenti e giovani senza perdere la qualità di attenzione e cura per l’ambiente, espressione della bellezza e delle storie di crescita e scoperta del mondo. Possiamo rielaborare a misura del presente le intramontabili intuizioni di Maria Montessori insieme alle tante esperienze di generazioni di insegnanti.
Igiene e sicurezza sanitaria non possono essere affidate solo a divieti e paure ma possono diventare abitudini di cura e rispetto che nascono da uno sguardo capace di vedere e da una responsabilità non persecutoria ma più vicina al buon senso che significa sempre capacità di comprensione rapida dei bisogni e risposta adeguata.
L’educazione ambientale non si impara solo perché diventa parte integrante di programmi disciplinari ma, come qualsiasi nuovo modo di guardare il mondo, che sia scientifico, artistico, politico, può definire il modo di abitare la scuola, nell’uso e manutenzione degli spazi esistenti, nell’invenzione/ricerca di nuovi e inediti spazi, nella gestione condivisa degli spazi come bene comune di cui ogni soggetto può essere corresponsabile, nella connessione degli spazi, e quindi di chi li abita nel tempo scolastico, con il territorio in tutte le sue espressioni, sociali, culturali, economiche.
L’ambiente insieme all’uso del tempo e dello spazio sono la base del nostro vivere e quindi vanno sperimentati nella loro sostenibilità, utilità e libera apertura delle possibilità proprio nella scuola, luogo in cui si deve poter crescere con quella sicurezza e protezione di cui oggi si tende a vedere solo la dimensione difensiva, emergenziale e securitaria.
La passeggiata insieme alla scoperta del mondo, momento di studio nello svago e di svago nello studio, momento che consente la distrazione insieme alla concentrazione, il libero pensiero dentro il vincolo materiale della strada a cui fare attenzione, di compagne e compagni da sostenere o seguire, è esperienza fondamentale di sé e apertura alla conoscenza.
Giardinaggio, orto e cucina, nel paese del sole e del buon cibo, non possono essere solo discipline specialistiche e di indirizzo nella scuola superiore, ma il bagaglio culturale sviluppato e trasmesso nella vita quotidiana.
In ogni scuola sono necessari spazi adeguati ad accogliere momenti di studio, agito individualmente o liberamente insieme, secondo talenti inclinazioni desideri scelte personali.
Si tratta di trovare per ogni ciclo scolastico il numero aureo che consente ai soggetti di interagire e lavorare insieme cooperando nelle finalità educative.
Numero che riguarda il rapporto insegnati/allievi ma anche complessivamente il numero di persone che consente l’esperienza della gestione democratica e non verticistica, una dirigenza condivisa e collaborativa.
Allo stesso modo la gestione va ridimensionata, non grandi accorpamenti ma scuole piccole e diffuse sul territorio.
Noi, che pensiamo la scuola oggi, che destiniamo le risorse, non sappiamo nulla di ciò che quei bambini e bambine faranno della vita e per la vita ma abbiamo il dovere di rendere il loro meglio possibile, perché ciò che sapranno fare di meglio ci accompagnerà fino alla fine della nostra vita e sarà memoria di noi anche quando verrà dimenticato il nostro nome.
 
Condivisione e non segregazione dei percorsi
Un percorso unico fino ai 18 anni con spazi e tempi finalizzati a scelte autonome di approfondimento tra i 15 e 18 anni, senza nessuna segregazione classista o sessista tra scelte individuali e con progressiva sperimentazione del rapporto tra interessi personali e lavoro possibile alla fine del percorso, con percorsi di accesso a specializzazioni universitarie e non.
Una scuola che si fondi sulla convivenza e non sulla segregazione, con assunzione di responsabilità a tutti i livelli.
Condivisione di tutte le attività di manutenzione ordinaria e anche straordinaria, in relazione all’età, come momento di apprendimento guidato dal personale addetto.
Responsabilità condivisa nell’uso degli spazi, degli arredi e di tutto il materiale scolastico.
Non grandi mense dove la necessità di controllo diventa oggettivamente diseducativa ma ogni scuola dovrà avere una cucina e spazi per il pranzo gestiti con il contributo via via crescente dell’utenza come parte dell’apprendimento di autonomia personale e cura del proprio ambiente di vita, con momenti sempre più autonomi, in relazione all’età, di preparazione del cibo, che potrà essere variato in relazione ad una programmazione settimanale collettivamente gestita, come apprendimento della gestione domestica, che è lavoro indispensabile alla sopravvivenza. Il pranzo come momento educativo che favorisce l’apprendimento della convivialità propria delle tradizioni sociali del nostro paese.
Preparazione e consumo del cibo saranno inseriti dentro la conoscenza della filiera produttiva e delle forme di distribuzione, sperimentata anche direttamente nell’incontro col territorio e non solo veicolata dai testi.
In relazione con il territorio possono essere pensati anche piccoli ristoranti scolastici come luoghi di convivialità condivisa con la tipologia di popolazione che fruisce delle mense, lavoratori/lavoratrici, pensionate/i, amministratrici/amministratori, genitori ecc. ecc.
 
Essere/fare insegnante
Le/gli insegnanti avranno spazio e tempo per sé, oltre che collettivi, stanze personali e/o condivise in cui studiare, sperimentare e accogliere il gruppo con cui lavorare, dovranno quindi essere in numero adeguato perché il lavoro con la presenza di allieve e allievi non superi mai le due/quattro ore giornaliere per complessive 30 ore settimanali reali (con allieve/i e di lavoro personale), senza ulteriori incombenze da svolgere a casa se non per il proprio piacere e l’amore per il proprio lavoro.
Le responsabilità collegiali saranno elettive e a rotazione, con una permanenza di cinque anni al massimo in un ruolo di coordinamento, saranno sempre condivise da un minimo di due persone che lavoreranno in collaborazione con il personale amministrativo e tecnico, le/gli addette/i alla pulizia, manutenzione, servizio.
Nella scuola tutto il personale è insegnante, nel senso che ogni adulta/o ha responsabilità educative nei confronti di bambine e bambini, ragazze e ragazzi, sia dirette, nella comune collaborazione alla pulizia e manutenzione degli ambienti, affidata via via fino ad aspetti di completa autonomia dei soggetti con la sola supervisione del personale adulto, sia indirette, ad esempio nell’illustrazione e insegnamento dei criteri fondanti le procedure amministrative, la loro utilità e trasparenza, anche come funzione di indirizzo a future scelte professionali.
L’economia domestica, un tempo materia d’insegnamento che definiva la segregazione e identità femminili, è oggi fondamentale apprendimento di autonomia personale e capacità di cura del minuscolo ecosistema sociale in cui materialmente viviamo.
Il personale delle pulizie organizza l’apprendimento pratico e i turni di collaborazione, quindi tutti i servizi entrano a far parte del percorso di apprendimento con distribuzione delle responsabilità.
In ogni attività relativa alle necessità quotidiane si sperimenta la collaborazione e la distribuzione dei compiti anche in relazione a inclinazioni e possibilità individuali, valutate insieme.
Non esistono disabilità e non esistono bisogni educativi speciali, solo riconoscimento delle differenze individuali e sostegno al loro sviluppo in tutte le forme e con le competenze conosciute. Il personale con specifiche competenze non svolge solo un lavoro specifico e segregante ma è risorsa per l’apprendimento comune verso un’autonomia che vive nel riconoscimento reciproco di limiti e potenzialità.
L’apprendimento di ogni disciplina sarà inserito in un contesto di cura e sperimentazione della propria autonomia insieme allo sviluppo di manualità fine attraverso attività artistiche anche finalizzate alla vita comune nell’ambiente, dall’uso dell’ago per cucire e del martello per mettere un chiodo fino a tutte le tecnologie in continuo mutamento e sviluppo, favorendo l’acquisizione delle competenze da parte del personale e/o l’assunzione di personale specifico.
L’archivio scolastico non sarà solo deposito burocratico ma luogo di documentazione mirata e non casuale del lavoro didattico e dell’esistenza delle generazioni che si succedono, aperto alla ricerca e alla conoscenza da parte del territorio.
La valorizzazione delle esperienze scolastiche sono parte integrante della vivacità culturale di un territorio e di tutto il paese nello scambio fecondo tra scuole.
 
Corpo che sente, percepisce, pensa, agisce
Il corpo dev’essere protagonista dell’apprendimento anche nell’uso e manutenzione degli ambienti, nello sviluppo della manualità fine, che si apprende digitando una tastiera come imparando a scrivere con pennino e inchiostro in bella calligrafia, nella possibilità di sperimentare danza, canto, teatro, strumenti musicali, attività sportive, ma anche utilizzo di strumenti di lavoro nelle mille forme dell’artigianato, dell’edilizia, dell’industria, della sartoria fin dall’infanzia e per tutta la durata della scuola, con possibilità di trovare occasione e supporto per sviluppare ogni talento anche con scambi tra scuole.
In particolare, l’esperienza e la scoperta del corpo non possono essere affidate solo alle attività sportive e lo sport non può coincidere solo con pratiche competitive, esperienze importanti che non possono diventare totalizzanti, quindi danza e teatro devono essere esperienze altrettanto fondamentali, come le molte tecniche manuali, anche tenendo conto della cultura italiana conosciuta ovunque.
Cantare in coro e suonare in un’orchestra, mettere in scena un lavoro teatrale, sono esperienze che non metaforicamente esprimono le aspirazioni della vita democratica nella percezione di sé dentro la collettività e richiedono una serie di lavori invisibili che possono invece diventare visibili nella loro necessità per la buona riuscita di un progetto.
Allo stesso modo la riflessione filosofica e le grandi domande esistenziali, così presenti proprio nell’infanzia e adolescenza, devono essere a disposizione di chi ha talento e inclinazione per ogni tipo di lavoro, da quello di cura e acconciatura dei capelli, per fare un esempio, a chi metterà mattoni in fila, o getterà asfalto sulla strada, come di chi sceglierà l’approfondimento speculativo che potrà diventare specifico lavoro di ricerca e/o insegnamento.
Tutti i saperi, gli alfabeti, le arti, le scienze devono essere a disposizione, nella loro sedimentazione storica e continua innovazione, in una scuola dove si impara insieme la manutenzione dei sentimenti, il riconoscimento e la gestione di dolore e gioia, rabbia e paura, della vita nella sua dimensione di scoperta e mistero, dialogo e silenzio.
Una scuola dove si impara la conoscenza e il rispetto per i corpi nelle loro differenze, tra femmine e maschi, sfumature dei colori, caratteristiche visibili e invisibili, considerandone le permanenze e i mutamenti, misura dei limiti e delle potenzialità. Una scuola dove la scoperta di sé non è mai mortificazione o confronto arrogante, aperta a ogni domanda e alla complessità delle risposte, compreso il limite.
Il tempo dell’apprendimento ha un ritmo individuale che può essere prescritto solo in parte e va scoperto e sperimentato fino alla gestione autonoma, che significa anche capacità di riconoscere i propri limiti e la qualità d’intervento dell’insegnante.
Donne e uomini insegnanti nella scuola devono essere capaci di accompagnare allieve e allievi nell’apprendimento dei contenuti, delle discipline, dei saperi insieme alla scoperta di sé, della trasformazione di corpi, desideri, sentimenti, bisogni, aspettative, tra infanzia e adolescenza e fino alla maturità, capaci di accompagnarli nella scoperta e gestione delle differenze senza prescrizioni intimidatorie, a partire da quella fondamentale tra femmine e maschi fino a tutte quelle significative per i soggetti nel confronto costante con le narrazioni storiche e sociali delle differenze stesse.
Insegnanti consapevoli della continua presenza educativa dei corpi nella loro quotidiana esistenza.
Bambini e bambine, ragazze e ragazzi, devono trovare nella scuola il luogo accogliente e protetto in cui la scoperta di sé può misurarsi liberamente con i modelli sociali e famigliari, le storie di genere e di generazione, sperimentando sempre responsabilità e rispetto per la comune qualità umana dell’alterità.
Siamo sempre altra e altro dentro similitudini, uguaglianze, condivisioni della comune appartenenza umana.
 
Valore retribuito
La questione del denaro non è solo necessità per la vita ma anche indicazione di valore e riconoscimento sociale perciò è particolarmente complicata da definire, così come i criteri di assunzione e i ritmi di lavoro.
Mi limito a qualche appunto considerando la necessità di un aumento generalizzato dell’attuale retribuzione ma anche di tener conto delle enormi disparità presenti nel paese che esulano da questo scritto ma sono molto presenti nel mio pensiero. Per fare solo un esempio trovo immorale, per usare un eufemismo, la differenza di reddito tra un/a notaio/a e un/una bracciante e perfino dentro la gerarchia sociale stabilita dai titoli di studio appare incomprensibile quella tra notaio/a e insegnante.
Le/gli insegnanti saranno assunti in relazione al ciclo scolastico, con le specializzazioni previste, e svolgeranno tre anni di tirocinio, il primo orientativo, per acquisire la conoscenza della scuola, il secondo e il terzo nella sede e nel ciclo scelto, con stabilità nello stesso posto per i tre anni successivi. Dopo il primo anno di prova dal secondo anno l’assunzione sarà a tempo indeterminato.
La qualità del lavoro a scuola sarà definita collettivamente secondo il meglio possibile, senza differenze nell’erogazione a favore di bambini e bambine, ragazzi e ragazze, le cui attività e benessere non possono essere affidate alla discrezionalità di qualche salario aggiuntivo.
Nella scuola il tempo di lavoro sarà stabilito in 25 ore settimanali da svolgersi in cinque giorni, che possono comprendere, in determinati periodi e/o per determinate attività, tutti i giorni della settimana con un’organizzazione adeguata a garantire sempre i cinque giorni settimanali lavorativi del personale.
La retribuzione iniziale sarà pari al valore della somma, ai costi correnti del mercato, di una quota per affitto e spese di abitazione, una quota per consumi quotidiani, una quota per spese annuali e/o ordinarie, una quota per spese straordinarie, una quota per ogni figlio a carico o altra persona di famiglia che non ha reddito proprio, una quota per ogni animale domestico a carico.
La retribuzione varierà solo con scatti di anzianità ogni cinque anni, in relazione all’economia generale del paese per quanto riguarda assistenza sanitaria e assistenza domiciliare dopo il pensionamento.
La retribuzione sarà uguale per ogni ciclo scolastico e mansione.
Nel corso del lavoro il personale potrà specializzarsi anche al fine della possibilità di cambiare ruolo e mansione ogni cinque anni. Il cambiamento sarà inizialmente parziale per consentire la riqualificazione e il passaggio di mansioni che dovranno essere sempre adeguate al benessere fisico di tutti i soggetti e alle loro relazioni, dentro una circolarità virtuosa del rapporto tra acquisizione e/o approfondimento di competenze e diverse età della vita.
Ogni dieci anni sarà previsto un anno “sabbatico” da dedicare alla scuola senza la presenza di allieve e allievi, che potrà essere utilizzato anche per apprendimento, ricerca, riqualificazione, libero studio.
Sarà presente in ogni scuola un comitato di valutazione eletto che sarà garante della professionalità.
 
 
 
 
Pensare e agire insieme
La scuola è pubblica e laica, non è previsto l’insegnamento religioso per il quale ogni famiglia provvede autonomamente mentre nel secondo ciclo possono esserci momenti di libero dibattito e approfondimento sui fenomeni sociali compresi fatti politici, sociali e religiosi, anche con la presenza di esperti.
La collettività adulta organizza le attività definendo autonomamente il tempo necessario nell’arco del proprio tempo di lavoro e fuori dal tempo strettamente scolastico, che va definito anche in relazione alle differenze climatiche e territoriali dalle autorità preposte.
La frequenza scolastica deve essere gratuita per tutte e tutti, indipendentemente da qualsiasi condizione giuridica e sociale di nascita dai tre ai diciotto anni, compresi libri e altre dotazioni tecniche, che saranno assegnate in uso libero, in comodato d’uso o presenti nella scuola per utilizzo e consultazione collettiva.
Le dotazioni personali potranno essere liberamente usate e restituite solo se riutilizzabili. La cura di tutto il materiale sarà responsabilità collettiva come parte del processo educativo.
Ogni scuola sarà in contatto con la rete bibliotecaria e tutte le opportunità offerte dalla tecnologia.
La qualità della scuola non è costituita da protocolli e procedure ma da linee guida chiare ed elastiche definite a livello nazionale e concretizzate nel processo decisionale democratico di ogni scuola, dentro cui tutte e tutti concorrono alla lettura dei bisogni e alla progettazione.
Il modello domestico è un paradigma flessibile capace di rispondere alle esigenze costanti e continuamente mutevoli della sopravvivenza umana, ma risponde a bisogni precisi e non eludibili.
I termini aziendali e mercantili sono inadeguati nella descrizione di ciò che accade a scuola e in tutti i processi della riproduzione umana che sono continuamente divergenti rispetto alle previsioni.
Bambine e bambini hanno bisogno di uguaglianza di risorse e opportunità, non di ingabbiamento nella serialità.
Nell’apprendimento non c’è profitto ma piacere, e la fatica è sperimentazione delle proprie possibilità e limiti. Le persone investono ma non sono un investimento quindi non c’è rendimento e nemmeno crediti o debiti nel processo di formazione, che non è misurabile con modelli quantitativi ma valorizzabile solo qualitativamente.
La scuola è qualcosa che si fa, giorno dopo giorno, anno dopo anno, con responsabilità e cura, come parole che guidano e orientano.
La scuola è tempo libero dalla costrizione, dalla mortificazione, dall’emarginazione, dalla segregazione, dalla coazione al consumo, dall’aspirazione al successo mercificato, dalla competizione avvilente, dalla dipendenza, dai sensi di colpa, dai ricatti affettivi.
La scuola è un tempo liberato per il piacere di conoscere, stare insieme, scoprire, imparare, scambiare saperi ed esperienze, per inventare occasioni e incontri, per ascoltare e parlare, per condividere fatiche, emozioni, silenzi, storie, per costruire luoghi solidali e culture di pace, per conoscere, pensare, trasmettere, agire le culture cancellate delle donne a cominciare dalla memoria della tante esistenze individuali dentro le storie collettive e come genere nella specie umana, agire la scoperta e visibilità dei modi di essere uomo sviliti e censurati dalla cultura maschilista, per scoprire dentro la storia ampia e complessa dell’appartenenza umana la possibilità di relazioni che interroghino le costruzioni identitarie e il potere che ne deriva.
Una scuola di donne e uomini che sanno riconoscere e riconoscersi, sperimentare il limite con il valore dell’accettare e superare, consapevoli del tempo nel suo divenire.
Una scuola democratica non garantisce né prescrive sentimenti o modi di essere, se non la libertà di ricerca accompagnando la scoperta della vita nella sua dolorosa, gioiosa e perfino noiosa faticosa complessità.
 
Un rapido processo di cambiamento
Una società non si cambia dal vertice, se non con progetti autoritari che non sono mai socialmente convenienti per la stragrande maggioranza della popolazione, come la storia ha dimostrato.
La scuola è l’istituzione che orienta il divenire sociale e prefigura ogni cambiamento.
La sostenibilità ambientale della vita umana, la convivenza pacifica, l’equa distribuzione delle risorse, il necessario riconoscimento dei conflitti e la loro gestione in funzione del bene collettivo e condiviso, la necessità di misurarsi con l’eredità di ingiustizie secolari che non possono essere semplicemente rimosse o taciute, la liberazione dallo sfruttamento nel lavoro e la liberazione del tempo umano dal lavoro usurante, il riconoscimento di tutto il lavoro non riducibile, non delegabile a macchine e dispositivi tecnologici e la sua ripartizione in tempi e attività non mortificanti dell’esistenza umana, sono le grandi questioni del presente che le prossime generazioni dovranno affrontare attraverso il sapere scientifico e gli stili di vita, il sapere specialistico e il tessuto complesso e diversificato delle relazioni umane, i mezzi di comunicazione più innovativi e la consapevolezza delle connessioni vitali sul pianeta, a partire dalla mescolanza tra differenze genetiche nella gestazione e nascita da un grembo di donna.
La possibilità di affrontarli in modi non distruttivi è affidata a quanto avranno imparato nel tempo della loro crescita fino alla maturità e molta parte di quel tempo sarà a scuola.
Tutti i contenuti potranno essere oggetto di studio, compresa l’idea gerarchica e non egualitaria delle persone, ma non tutti i contenuti potranno ispirare le pratiche scolastiche, dalle forme dell’abitare la scuola alle relazioni interpersonali dentro i ruoli svolti. Una società democratica non può essere riprodotta da una scuola che nega la democrazia, l’uguaglianza dei diritti e delle possibilità, la libertà e dignità personale: sarebbe (e di fatto lo è) una pericolosa contraddizione.
La scuola come tempo libero fino alla maturità si aprirà a diventare scuola permanente con e dentro ogni territorio, occasione di costante confronto e approfondimento, dimensione del vivere nello scambio culturale che segna e modifica il vivere comune, sarà quindi in costante dialogo con i vari luoghi di cultura insieme a quelli dell’economia nell’ottica della sostenibilità ambientale, della sobrietà nei consumi, della bellezza condivisa. La scuola non sarà luogo di asservimento come prefigurazione di opportunità ridotte o privilegio come prefigurazione di altri privilegi.
Non sto scrivendo un astratto libro dei desideri ma un racconto del possibile che raccoglie dalla concretezza dell’esistente e chiede giustizia e giustezza delle scelte sulle quali convenire per comune e condivisa convenienza.
Se la scuola è il luogo delle generazioni possiamo pensarla dentro una crescente capacità generativa e allo stesso modo pensarne la trasformazione pur nell’urgenza del presente, che è storica prima che occasionale.
 
Affrontare il possibile
Affrontare la questione della disuguaglianza partendo dalla scuola significa sostenere concretamente famiglie in cui ci sono genitori con difficoltà, dai/dalle migranti a qualunque condizione in cui ci si trovi a vivere la genitorialità, favorendo processi di integrazione, abbassando il possibile contenzioso nelle separazioni, offrendo una condizione di eguaglianza a chi, per vari motivi, non convive con genitori.
Significa sostenere con interventi concreti adeguati e continuativi chi ha caratteri permanenti o temporanei di cosiddetta disabilità, favorendo lo scambio educativo come possibile crescita di incontro e scambio sociale duraturo.
Offrire una scuola di livello qualitativo alto e generalizzato significa abbassare il ricorso a scuole private che, soprattutto per l’età 3/14 anni, tamponano le carenze del servizio pubblico in modo non adeguato, generano sempre differenze sociali e raramente promuovono esperienze di vita laica e democratica, significa quindi abbassare il tasso di ansia genitoriale, propria anche dei ceti più benestanti, favorendo un’assunzione di responsabilità depurata da fatiche inutili, investimenti impropri e confusione tra affetto e possesso.
Liberare i genitori dall’attuale prescrizione di accudimento scolastico, quasi sempre richiesto alle madri, e mantenimento agli studi superiori, che dipende sempre dal reddito, può favorire una genitorialità più affettiva che costrittiva anche attraverso confronto e circolazione di esperienze.
Cominciare dalla scuola significa affidare la possibilità di una società egualitaria nei diritti al lavoro delle generazioni future attraverso una transizione morbida e creativa che non cancella i conflitti occultandoli ma ne consente una gestione non distruttiva e una risoluzione attraverso il rinnovamento delle soggettività in gioco.
Mettere la scuola al centro significa riprogettare la salute collettiva sul territorio in costante relazione con la produzione di risorse dentro un sistema produttivo e di servizio orientato alla sostenibilità ambientale e urbanistica, significa attivare tutte le risorse del territorio orientandole alla vita delle generazioni in crescita, che è l’unico modo per pensare davvero al futuro, di cui non sappiamo niente, ma possiamo solo immaginare.
Così come la mortificazione della scuola è stata determinante per l’aumento del precariato e delle disuguaglianze sociali in poco più di vent’anni, allo stesso modo potrebbe crearsi tra scuola e società lo stesso circolo virtuoso già innescato a suo tempo dalla scuola media unica e la liberalizzazione dell’accesso all’università (oltre ad esperienze come quella delle 150 ore), processi che hanno favorito una cittadinanza consapevole con progressiva richiesta di diritti e della loro esigibilità, insieme a innovazione produttiva in molti settori artigianali/industriali e crescita competente in tutti i settori.
Le donne e gli uomini che abbiamo finalmente viste e visti nel prezioso e indispensabile lavoro quotidiano durante la pandemia sono frutto di quelle piccolissime riforme.
 
DA DOVE COMINCIARE?
La salute, e la vita, che abbiamo collettivamente scoperto come priorità, non possono essere tutelate solo con pratiche di controllo e segregazione, ma richiedono altre forme organizzative e un addestramento costante e crescente alla responsabilità individuale e di gruppo.
Va cominciato da subito un processo costituente che si orienti sul dettato costituzionale e consenta la ricognizione di tutte le sperimentazioni e pratiche che hanno sostenuto la scuola in questa direzione.
Questo è solo un disegno tratteggiato, che va riempito di colore e dettagli.
La scuola che vogliamo è stata realizzata negli anni in mille pratiche d’insegnamento capaci di opporsi in forma creativa alle imposizioni distruttive, alla mortificazione delle competenze insegnanti, alla distorsione della realtà a favore dell’apparenza, ha potuto riprodursi nella contaminazione delle idee, nell’invenzione didattica, in una miriade di pratiche sommerse, nell’intelligenza di mille progetti, spesso quelli non esibiti nelle passerelle delle eccellenze ma realizzati e vivi nelle vite di ragazzi e ragazze, bambini e bambine, pratiche e progetti che hanno generato quel benessere socialmente equo che è la vera ricchezza di un paese e che vediamo diffusa nel nostro nonostante tutto.
Contemporaneamente proprio l’erosione delle migliori realtà scolastiche, la riduzione delle risorse, le modifiche mercificanti, l’abnorme crescita di inutili procedure e controlli burocratici, la cancellazione di rapporti democratici, l’abbandono di intere realtà scolastiche ad una responsabilità locale diversificata, l’aumento del numero di alunne/i per classe e la diminuzione di insegnanti, hanno favorito anche irresponsabilità e incompetenza, superficialità e accondiscendenza, mera esecuzione di mansioni a scapito della relazione educativa e della crescita professionale, diversificazione a totale scapito del diritto eguale all’istruzione.
Mi trovo a scrivere in un momento storico in cui la realtà stessa costringe a ripensare il rapporto tra tutto il personale della scuola, il numero di allievi e allieve, gli ambienti scolastici: servono più aule, più insegnanti, più personale per le pulizie, più strumenti: dai giochi per la scuola d’infanzia ai computer, dagli armadi ai bagni.
I sogni sono sempre rielaborazione della realtà e, qualche volta, prefigurazione.
Ri-formare la scuola significa anche adeguare gli asili nido e l’università con lo stesso modello e le differenze necessarie, tenendo conto della migliore tradizione ma cancellandone gli aspetti che non realizzano l’art. 3 della Costituzione.
Il mondo del lavoro dovrà adattarsi alla scuola sia per quanto riguarda l’attività dei genitori di bambini e bambine, sia in un interscambio virtuoso con tutto il settore della mobilità, delle infrastrutture e delle filiere produttive, dall’energia all’abbigliamento, dall’agricoltura alla cultura.
Se possiamo pensarlo significa che può diventare possibile; dobbiamo ricordare che volare è stato a lungo un vago sogno e impresa derisa e che qualcuno, solo pochi anni fa, disse che i computer non avevano futuro.
Per una Scuola democratica esistono già i microchip diffusi sul territorio, se vogliamo usare una metafora tecnologica che può rappresentare, nell’immaginario giovane, e non solo, quell’energia vitale e creativa che già esiste dentro ogni singola scuola e nel futuro, sconosciuto, che già oggi sta crescendo accanto a noi.
Non si tratta di inventare qualcosa che non esiste ma di favorire processi che già vivono nelle nostre esperienze, intuizioni che pratichiamo, consentire lo sviluppo di ciò che tiene in vita già oggi la scuola perfino contro direttive che la mortificano e contrastano e, come abbiamo visto, nell’emergenza di un terribile imprevisto.
 
Un percorso possibile
Sono convinta che è giunto il tempo di pensare a istituire la Scuola della Repubblica democratica: un’impresa che mi sembra enorme eppure più ci penso più la sento necessaria. Misurarsi davvero con la riforma della scuola per la Repubblica democratica non può mai essere impresa individuale, anche perché richiede uno studio attento dei dati e una ricognizione delle tante differenze dentro l’enormità dei dati; inoltre vanno considerate tutte le compatibilità legislative insieme a tutta la dimensione contrattuale relativa al personale, che non può essere penalizzato, più di quanto non sia già, in corso d’opera.
Si può avviare un processo riformatore di durata triennale, con un secondo triennio alla fine del quale entra in vigore l’intera riforma.
La riforma della scuola va pensata da chi fa scuola e si misura con la concretezza delle situazioni, quindi va presa in considerazione tutta la competenza didattica e pedagogica accumulata dal personale scolastico, tutto e non solo dirigente, con la considerazione dell’autorevolezza acquisita dentro le singole scuole stesse più che certificata da titoli accademici.
Nella ricognizione di idee esperienze risorse può essere utile anche fare riferimento all’esperienza di personale che non opera più direttamente perché utilizzato in altro servizio o in pensione.
 
Primo anno
Sarà necessario un investimento per l’immediato adeguamento dell’organico al rapporto di otto/dieci alunne/i per insegnante alla scuola elementare e dodici/quindici alla scuola superiore di primo e secondo grado.
Può essere assunto tutto il personale precario che abbia insegnato per un triennio, con la condizione già esistente dell’anno di prova prima dell’entrata in ruolo.
Se il personale non è sufficiente si procede a nuove assunzioni con incarico temporaneo in funzione della costruzione di una dotazione organica sufficiente al fabbisogno e si prevede una stabilizzazione rapida nel triennio preparatorio, in accordo con sindacati e rappresentanze di categoria, con immediato aumento della retribuzione delle fasce con retribuzione minore al fine di un’equiparazione rispettosa della dignità professionale.
Vanno reperite, anche in forma provvisoria, tutte le strutture necessarie a fornire gli ambienti adeguati alla vita scolastica e si procederà all’assunzione di personale addetto alla pulizia e manutenzione con contratto di lavoro adeguato, da stabilizzare nel triennio.
Contemporaneamente va organizzata una ricognizione di tutti i bisogni e le risorse già esistenti in termini di esperienze didattiche investendo tutto il personale della scuola di ogni ordine e grado della responsabilità di misurarsi con le linee generali della riforma e riempirla di contenuti e proposte di fattibilità.
Nel dibattito vanno coinvolte/i, nelle forme adeguate, alunne e alunni di tutte le età e condizioni per la prefigurazione della scuola in tutti i suoi aspetti, anche attraverso lavori creativi e pertinenti alle discipline studiate, che potranno segnare il dibattito politico sul futuro in ogni angolo del paese.
Il lavoro con alunne e alunni sarà accompagnato da momenti di confronto del personale della scuola finalizzato all’aggiornamento de personale, anche con ore dedicate al lavoro progettuale in piccoli gruppi.
Predisposizione dei piani disciplinari e dei programmi in relazione all’adeguamento delle discipline d’insegnamento e dei percorsi di aggiornamento per le/gli insegnanti e tutto il personale.
Ripristino delle procedure democratiche di organizzazione e governo della scuola con proposte adeguate da sperimentare già il secondo anno.
 
Secondo anno
Definizione e approvazione di tutti gli aspetti della riforma entro la fine dell’anno scolastico in corso, compresa la progettazione e la definizione degli investimenti per gli edifici e per la stabilizzazione del personale.
 
Terzo anno
Introduzione della riforma per l’età dai tre ai dodici anni e definizione delle procedure per i passaggi successivi.
Sarà previsto un triennio di verifica successivo con un primo anno di introduzione completa della riforma e i due successivi per verifiche e adeguamenti.
 
Caratteri irrinunciabili
·      Rapporto insegnante/gruppo: un insegnante per 5/10 bambine/i massimo nel primo ciclo; un insegnante per 10/15 ragazze/i nel secondo ciclo con criteri di cooperazione nella suddivisione dell’orario giornaliero e settimanale, possibilità di compresenze e flessibilità nella costituzione dei gruppi anche in funzione di insegnamento individualizzato ove si ravvisi la necessità.
·      Procedure democratiche di coordinamento e direzione, con rotazione ogni 3/5 anni.
·      Un primo anno di tirocinio, retribuito, in qualsiasi ciclo e triennio, con permanenza per tre anni successivi all’anno di prova nel triennio scelto.
·      Possibilità di passaggio nell’insegnamento dal primo al secondo ciclo per le stesse o analoghe discipline di insegnamento, con obbligo di un anno di prova.
·      Possibilità di passaggio tra i tre trienni del primo ciclo e i due trienni del secondo ciclo con modalità definite.
·      Reperimento, adeguamento ed eventuale costruzione degli edifici attraverso un piano d’investimento.
·      Definizione di responsabilità e linee guida nazionali precise, sempre finalizzate a dare servizi omogenei su tutto il territorio, con adeguamento indispensabile a colmare ritardi e lacune.
 
Questo è solo un disegno tratteggiato e può diventare un grande affresco collettivo.
L’affresco, come sappiamo, richiede chiarezza di ruoli e responsabilità, progettazione minuziosa e realizzazione rapida.
 
Credibilità, affidabilità
Rileggendo quanto ho scritto i pensieri si allargano perciò mi fermo, consapevole di buchi e lacune e soprattutto senza nessuna risposta in merito alla possibile utilità di questo esercizio di scrittura., ma questo vale per la maggior parte delle parole e sappiamo molto bene quale sia la potenza delle parole nel cambiamento del mondo, sia in bene che in male.
Una delle cose più importanti che ho imparato, e ho cercato di insegnare, è la domanda sulla credibilità delle persone, giudizio che ognuna e ognuno di noi agisce perfino inconsapevolmente in ogni incontro della vita.
Per capire il valore di una proposta dobbiamo sempre chiederci se viene avanzata da una persona credibile e la credibilità non è certificata solo dai documenti scolastici ed è molto più di un curriculum perché riguarda l’intera vita.
Sulla vita infatti non si può imbrogliare, per questo la credibilità, l’affidabilità, di una persona, non ha un punteggio, o c’è o non c’è, non può essere dichiarata da sé ma solo verificata da altre e altri e il giudizio è, di fatto, insindacabile.
In un tempo in cui i mezzi di comunicazione ci inducono a creare la nostra immagine, e valutarla con il numero di like, la ricerca della credibilità di una persona è simile al lavoro archeologico: fatica, tecnica e capacità di interpretazione. Serve una vera passione per l’umanità, non generica ma, per quanto mi riguarda, a cominciare dall’appartenenza a un sesso, quello femminile, su cui non smetto di interrogarmi.
Ho scritto per evocare uno scenario possibile, in un testo lungo eppure incompleto, per questo nell’affidarlo al giudizio conto sul fatto che, grazie alla comune esperienza, ciò che vedo possa essere visibile.