Elogio di un lavoratore del call center

Sono incappata in una disavventura molto comune di questi tempi: ho dovuto disdire il contratto telefonico Wind Infostrada per poter avere un gestore che portasse anche nel mio paesello del profondo nord la linea ADSL.
Ho inviato la comunicazione all’inizio del 2009, dopo qualche mese scopro che ho rinunciato solo ad un servizio perché la mia lettera non specificava il nome dei due servizi a cui rinunciavo, mando una seconda lettera il 27 di agosto, viene smarrita, una terza a gennaio allegando ogni volta fotocopia delle lettere precedenti e delle ricevute di ritorno. Ogni volta faccio almeno due telefonate al call center per capire cosa devo fare e ne ricevo altre che sollecitano i pagamenti da addetti che non sanno nulla delle mie raccomandate e non hanno modo di averne informazione.
Scrivo una quarta lettera riepilogativa e nel frattempo pago perché la minaccia che la pratica venga automaticamente passata al tribunale di competenza mi preoccupa.
(Considero il tempo l’unica vera ricchezza che abbiamo e non a caso i padroni vogliono acquisirlo senza limiti, perché toglierci il tempo di vita è l’unico modo con il quale ridurci alla servitù.)
Arriva un’altra bolletta e questa volta non pago. Ieri mattina arriva la telefonata di sollecito, cerco di spiegare, ma non c’è ascolto, la signorina m’invita a chiamare il 155 e prontamente eseguo. La nuova signorina non mi fa spiegare, lei ha già capito tutto e m’invita a fare un altro numero che però mi chiede un codice che non possiedo.
Sono scoraggiata e quasi decisa ad andare in posta a pagare, ma decido di fare un altro tentativo e richiamo il 155. Miracolosamente il ragazzo che risponde mi ascolta, fa una ricerca della pratica interrompendo l’attesa per rassicurarmi; alla fine trova tutto e mi comunica che non solo non devo pagare, ma ho diritto ad un congruo rimborso e istruisce immediatamente la pratica.
Lo ringrazio e lui risponde che ha fatto il suo lavoro: è vero, ma lo ha fatto in un modo che ormai sta diventando poco comune e lui allora precisa che per un ragazzo del sud non è facile trovare un lavoro e farlo bene è un modo per dimostrare quanto conta per lui.
Si chiama Roberto e questo elogio per lui vorrei fosse esteso a tutti i lavoratori e lavoratrici dei servizi, pubblici o privati che siano, perché la cura con cui svolgono il loro lavoro, ascoltando le persone, cercando di mettersi in sintonia con i bisogni e le richieste, governando la comunicazione per capire i problemi e avviarli a soluzione, è parte insostituibile della civiltà di un paese.
Rispondere a un call center è un lavoro difficile, faticoso e mal pagato, come è stato da sempre il lavoro operaio, ma, svolgendo qualsiasi lavoro, stabilire che la propria dignità non è in vendita è il primo passo per alzare la testa e poter ripensare il lavoro stesso e il senso, significato e direzione, che occupa nelle nostre vite.
La distruzione del welfare è molto più che la cancellazione di servizi essenziali che rendevano un po’ meno iniqua la differenza di classe, è la cancellazione di una forma delle relazioni umane sociali. Il messo comunale, l’impiegato della posta e il portalettere, i ferrovieri impiegati in stazione, così come gli insegnanti o altre tipologie di pubblici dipendenti, rappresentavano un presidio di civiltà sul territorio. Obbligati alla cortesia dallo stesso controllo sociale, che stigmatizzava comportamenti scorretti, diventavano spesso persone di riferimento, l’immagine stessa di un servizio che qualificava il territorio e diffondeva buone pratiche.
Lo sfruttamento del lavoro umano perseguito nelle aziende private è ormai tale che lavorare con dignità è sempre più difficile: la diffusione di questo modello ovunque è la barbarie che avanza, come dimostrano le campagne di calunnia sugli statali che ora si riversano anche sugli operai.
Occorre rendere visibili, insieme alle grandi lotte, tutte le pratiche di resistenza quotidiana, anche individuali, a cominciare da quell’onestà del lavoro che è il fondamento della Repubblica.