Sentimenti dall’anno che è passato

Forse cominciamo cautamente a uscire, ma io lavoro ancora da casa perché l’uso di internet consente di abbattere i costi, i tempi, le fatiche, e favorisce la possibilità di partecipazione.
L’anno scorso scrivevo Parole da casa. Come sempre molte delle cose scritte non le ho messe sul blog. Recupero tra i tanti un pezzo scritto in ottobre 2020 perché l’amore non deve essere nascosto, anche se ha i suoi sospiri.

Cortenuova è uno dei paesi più brutti che io abbia visto eppure ho imparato ad amarlo.
Non c’è degrado, anzi, è un paese ordinato di gente precisa e laboriosa, ognuno cura la sua casa e le strade sono pulite, il servizio di raccolta rifiuti funziona perfettamente (e guardo gli operatori con gratitudine), le persone sono educate e gentili, ma la visione d’insieme è di una mediocrità che intristisce.
Penso che la gente di Cortenuova abbia diritto alla bellezza.
La bellezza non è qualcosa che puoi appiccicare come un post-it, non è un involucro luccicante con cui copri le magagne. La bellezza non è ostentazione, non è lusso, non è l’arroganza del denaro, la prevaricazione di chi s’impone al territorio. La bellezza non è moda o pensiero unico e autoritario.
La bellezza è l’armonia delle cose, la visione condivisa, l’amore per le proprie strade, la speranza impressa sulle case per gli sguardi che verranno. La bellezza è ascolto tra chi ha la responsabilità politica, chi realizza l’incarico tecnico e chi abita.
Vorrei camminare per le strade del mio paese dentro la bellezza in armonia con il cielo di Lombardia, così bello quando è bello, e per me sempre.
Vorrei le panchine con lo schienale e qualche pianta in vaso, vorrei leggere sui muri le nostre storie, quelle vere e quelle fantastiche. Vorrei una contrattazione con chi lascia le proprietà nel degrado, da anni.
Vorrei che il silenzio e la solitudine non fossero oppressione ma possibilità di meditazione.
Siamo migliori di come ci rappresenta la topografia che abitiamo. Possiamo darci una mano?
 
La vita è la percezione che ne abbiamo, ognuna e ognuno con i propri sensi, la propria storia, la cultura che ci è naturale, il modo e le parole con cui la raccontiamo.
Questa mattina mi sono chiesta che cosa posso fare per questo mondo in cui mi è accaduto di vivere, la terra su cui cammino, su e giù per la mia casa, dentro i confini del mio minuscolo giardino, e quello più grande che penso, la ragnatela che rimaglio continuamente delle tante relazioni intrecciate negli anni, alcuni luoghi lontani che restano nel mio cuore, incontri, occasioni, eventi, che si mescolano nella memoria dimostrando l’assunto scientifico della non linearità del tempo.
Le circostanze determinate dalla pandemia mi hanno resa molto stanziale, scrivo con il computer, o il quaderno, appoggiati su una tavola lunga e stretta, acquistata per la sua qualità scorrevole, sul letto, ai tempi in cui la casa era condivisa da cinque persone e io correggevo compiti finché il sonno non mi vinceva. Scrivo davanti alla finestra e di fronte a me è cresciuto il tulipifero che ci ha regalato il padre di un bambino che aveva più disabilità, sensoriali e mentali, di quante una famiglia ne potesse sostenere.
Intorno a me ogni oggetto, ogni albero, ogni cespuglio, è abitato da storie.
La bellezza che noi ammiriamo nelle città e nei musei è anche frutto di molto lavoro schiavile, di molto lavoro sfruttato, di molta subalternità sociale, ma anche di molta cura rimasta anonima, di straordinarie competenze manuali, di fini conoscitori dell’arte che non sono esaltati come artisti e non si atteggiano a critici.