La parola Uomo non comprende le donne

Cos’è la storia ?
Ogni anno comincio da qui. Seduti in cerchio ragazze e ragazzi propongono le loro risposte più o meno elaborate.
Le scriviamo sul cartellone al centro e comincia un lavoro che sullo sfondo costante (ma costante per me) dei vincoli stabiliti dal programma ministeriale non conosce quasi mai percorsi ripetitivi.
Variano le classi, le domande, le proposte, io stessa mi reinterrogo di anno in anno in modo diverso, col bagaglio di quel “pezzo di tempo” in più che per fortuna non impasta solo di significati negativi l’invecchiare.
Restano negli anni alcune costanti nelle risposte: dopo aver districato dai significati della storia le categorie di tempo e spazio, i soggetti sono sempre inequivocabilmente uomini, maschi.
Solo la prima volta (con l’ingenuità tipica di un illuministico buon senso) ho fatto osservare che, nella storia intesa come passato, soggetti sono anche le donne (che certo non lo sono nella storia dei manuali).
Lievemente urtate dall’insegnante “in odore di femminismo” furono le ragazze stesse a sostenere, accanto ai compagni perfino più sereni e condiscendenti, che la parola uomo comprende anche le donne.
Così adesso faccio un giochino più divertente e più utile: mentre lavoriamo alla ricognizione di tutto l’immaginario storico che gli anni di scuola hanno stratificato in ognuna e ognuno di noi, chiedo di descrivere brevemente l’uomo primitivo (o di disegnarlo se qualcuno non trova gli aggettivi adeguati).
Dalle descrizioni e dai disegni mi arrivano orde di uomini pelosi, barbuti, rozzi, violenti, incivili, incolti, che si esprimono a gesti e grugniti, spesso armati, inequivocabilmente maschi.
Quest’anno uno teneva stretto per il collo un coniglio, un altro calava la clava sulla testa di una donna accasciata.
Con noncuranza analizzo con loro scritti e disegni facendo notare che la parola uomo non comprende anche le donne.
La prima reazione è sempre di stupore, ciò che sembrava naturale, la lingua, diventa di colpo oggetto ambiguo, polisemico, sedimento di una cultura che è faticoso indagare perchè dietro la nozione asettica nasconde tutto il portato emotivo delle relazioni che l’hanno costruita.
Non è semplice da affrontare in un’età in cui si pensa di avere abbastanza certezze e sufficiente forza per le incertezze da voler affrontare il mondo da sole e da soli.
Ho imparato negli anni che l’evidenza logica non è sufficiente dimostrazione come del resto sempre accade quando togliendo un piccolo puntello l’intero edificio crolla (e qualche volta sembra che a scuola ancora il sole giri intorno alla terra ferma).
Non potendo tornare a dire uomo, quest’anno, per senso di giustizia, hanno proposto di dire che soggetti della storia sono: i popoli, la gente, le popolazioni, le civiltà … 
Troppo semplice scrivere uomini e donne ? Lascio la domanda aperta, non è mio compito fornire risposte come ricette, crescere significa anche imparare a percorrere le proprie strade, le proprie domande, assumere la responsabilità delle risposte.
Così ogni anno il mio pensiero corre al sorriso accattivante e ironico di Alma Sabatini, a quella sua ricerca sul sessismo nella lingua italiana pubblicata dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri (e non da una sospetta associazione femminista) nel 1987 quasi come se il suo viso fosse diventato per me l’affettuosa metafora di una produzione delle donne che ormai è estremamente vasta e differenziata.
Mi colpisce però che ci si affanni intorno alla “pedagogia della differenza” quasi fosse un misterioso e difficile nuovo metodo da inserire con fatica e perfino un po’ d’ansia nell’aggiornamento della scuola.
Senza nulla togliere a tutte le teorie, le proposte, i progetti sui quali vale la pena di riflettere in modo attento e puntuale credo che ci sia una questione più semplice da cui cominciare ma certo straordinariamente più faticosa, complessa, inquietante se perfino una rivista come Ecole non riesce a farla propria: provare a nominarla questa benedetta differenza.