A proposito di libertà, lettera alle donne dell’Udi Monteverde

Care Carla e tutte,

affido all’Udi Monteverde questa breve riflessione perché la inoltri a tutta l’Udi. Riflessione breve perché i tempi di lavoro e di vita non mi consentono di articolarla in modo più approfondito, che comunque non mancherò di fare appena possibile.

Le donne dell’Udi sono cittadine e possono fare ciò che vogliono. Se manca un dibattito politico che consenta azioni veramente condivise la responsabilità è di chi ha il compito di costruire espressioni condivise. Compito faticoso che richiede precise scelte, che certo non si può improvvisare.
Resta comunque la libertà di ogni donna e ogni Udi di rispondere agli eventi, che non sono mai interamente prevedibili, come ritiene opportuno. L’Udi non ha rappresentanti, ma solo deleghe su mandati di responsabilità, o mi sbaglio?

La storia dell’Udi segna le donne e la loro appartenenza molto più di un tesseramento.
Qiuando sono uscita dall’Udi sono stata immediatamente cancellata dalle comunicazioni e dalla storia stessa dell’associazione, sia come persona che come pensiero politico.Nonostante questo chiunque mi conosca conosce anche la mia appartenenza alla storia dell’Udi, che io non ho mai smentito, anzi, perchè di questo pezzo di storia personale e collettiva, durata 25 anni anche in assenza di tessere, sono orgogliosa. Ancora oggi quando mi firmo non c’è bisogno che aggiunga la sigla Udi perchè venga riconosciuta come parte dell’associazione.

Ci sono donne dell’Udi che quando si firmano nessuno ricorda o sa che sono anche dell’Udi e questo riguarda il rapporto dell’associazione con la sua memoria, ma anche talvolta la scelta di utilizzare una sigla storica per puro tatticismo politico. Anche per le donne non tutte le storie politiche sono uguali.

Trovo che sia stata una forma di autolesionismo storico per l’associazione cancellare i vent’anni di sperimentazione democratica tra l’XI e il XIV congresso e ridursi ad un’immaginetta agiografica appiattita sui cosiddetti anni gloriosi dell’emancipazione, che diventano in questo modo incomprensibili. In questo e molto altro sta la debolezza anche di una battaglia importante come 50&50.
In questo sta la debolezza politica delle donne dell’Udi oggi.

Aderire ad una manifestazione appartiene alla libera scelta di ogni donna e ogni gruppo, essere politicamente visibili è una faccenda più complessa che riguarda anche quali donne scegliamo perchè ci sia una rappresentazione pubblica adeguata allo spessore della nostra storia.

Il riconoscimento politico tra donne resta un nodo politico non sciolto, e non solo per l’Udi altrimenti non saremmo nell’attuale situazione.

Non mi appassionano le piazze che si convocano su temi e tempi stabiliti da vicende come quelle attuali del presidente del Consiglio, così come non mi piacciono le manovre per le candidature, anche femminili, che partono di sottobanco. Ci sono anche donne che predicano una cosa e ne fanno esattamente un’altra.
Ritengo però che un’associazione come l’Udi non possa permettersi atteggiamenti di snobismo nei confronti di movimenti che manifestano su contenuti a lungo condivisi. Sono troppo vecchia (politicamente e non solo) per non sapere che sulle emergenze del presente si possono giocare anche interessi personali non esplicitati, ma la meschinità si combatte con la lealtà, la solidarietà, la visibilità, anche nelle procedure.

In questo momento, come in qualsiasi altro, ogni donna resta comunque responsabile di sé e data la situazione di asfissia politica dell’Udi nazionale e il fallimento di quei propositi di reale circolarità politica con i quali io stessa avevo proposto il XIV congresso, penso che l’Udi tutta debba restare fedele alla sua costituzione materiale, che è fin dal 1982, di fatto, federativa ed è stata sempre la sua vera forza.

Ogni Udi ha costruito una storia di relazioni, non solo territoriali, e quella storia non va cancellata, ma va direttamente agita, tanto più in questa fase: quando viene deciso un congresso significa che il dibattito è aperto a tutto campo e nessuno può fare da tappo alle scelte politiche che appunto al congresso andranno confrontate, anche nelle loro differenze.

Le differenze non agite non esistono e ognuna di noi può considerarsi politicamente uscita dalla fase lamentatoria, perfino se personalmente ha giustamente molto di cui lamentarsi.

Al XIV congresso si è molto parlato del fantasma della “venditrice di pentole” che può usare la sigla Udi con danno dell’associazione. Nei fatti penso faccia più danno chi cancella la storia dell’associazione, il fatto di essere una sigla che assomma molte differenze sia nel tempo che nello spazio.
Il problema della trasmissione tra donne, e della cancellazione delle storie e culture che produciamo, è sempre dovuta alla fantasia di essere le prime a pensare e fare. Il patriarcato, che è una struttura mentale oltre che sociale, conta sul giovanilismo smemorato, e sul mito positivista del “progresso” che ancora permane, mentre proprio la storia del ‘900, anche femminile, ci insegna che generazioni di giovani possono volgere le spalle al futuro sotto gli slogans della modernità.

Sono stata responsabile della sede nazionale tre volte e considero le responsabilità condivise e il mandato a termine il lievito della democrazia, un pezzo di storia politica che l’Udi potrebbe rendere visibile a vantaggio di tutte, perchè il problema democratico di questo Paese nasce dentro la sua storia politica, compresa quella delle associazioni che sono la vita o la morte della società civile.

7.Quando me ne sono andata non ho pensato che l’Udi senza di me sarebbe crollata, anzi, mi sono fatta da parte perchè non condividevo la direzione presa, che ho continuato a seguire con interesse, grazie anche alle Udi cosiddette territoriali che non mi hanno cancellata dalla loro storia, perchè nessuno sa che cosa davvero è utile per il futuro. Non sono particolarmente contenta che i fatti mi abbiano dato ragione.

Come ho detto allora non ho bisogno dell’Udi per vivere perchè ho avuto la fortuna, e l’età, di avere a disposizione pubblici concorsi per poter svolgere un lavoro adeguato alle mie necessità e proprio nell’Udi ho imparato che una donna quando ha se stessa ha tutto, ma mi chiedo oggi se l’Udi ha davvero beneficiato positivamente della lontananza mia e di altre donne.

So che questa mia franchezza può apparire presuntuosa, ma mi permetto una citazione: ” non ho niente da perdere, solo le mie catene”.

La libertà è una dichiarazione di principio valida solo se può essere una conquista quotidiana, agita in qualsiasi luogo, altrimenti diventa un’etichetta per turlupinare “il popolo sovrano” donne comprese, com’è accaduto con il partito di maggioranza.